sabato 28 agosto 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • sabato | 28 agosto 2021

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Lectio sabato 28 agosto 2021


 
 
Sabato della Ventunesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Sant’Agostino

 
1 Lettera ai Tessalonicesi 4, 9 - 11
Matteo 25, 14 - 30 
 
 
1) Preghiera 
Suscita sempre nella tua Chiesa, Signore, lo spirito che animò il tuo vescovo Agostino, perché anche noi, assetati della vera sapienza, non ci stanchiamo di cercare te, fonte viva dell’eterno amore.
 
Decisivo nella vita di Agostino (Tagaste, attuale Song-Ahras, Algeria, 354 – Ippona, attuale Annata, 28 agosto 430), oltre l’influsso della madre, fu l’incontro con il vescovo Ambrogio dal quale ricevette il Battesimo. Dal suo curriculum di studi e di magistero nella scuola pubblica, attraverso un’appassionata ricerca della verità, passò alla totale sequela di Cristo Signore, punto di convergenza della creazione e della storia. In lui si incontrano in rara sintesi il contemplativo, il teologo, il pastore d’anime, il catechista, l’omileta, il mistagogo, il difensore della fede, il promotore di vita comune. È autore di una regola monastica che influenzò tutte le successive regole dell’Occidente cristiano. I suoi scritti restano un monumento di straordinaria sapienza e lo qualificano come il maggiore fra i Padri e Dottori della Chiesa latina.
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2) Lettura: 1 Lettera ai Tessalonicesi 4, 9 - 11
Fratelli, riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedònia. 
Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato.
 
3) Riflessione su 1 Lettera ai Tessalonicesi 4, 9 - 11
 Per i suoi cristiani di Tessalonica Paolo dimostra grande stima. Non si atteggia infatti a maestro, si dimostra convinto che hanno un Maestro ben più valido di lui, Dio stesso: "Voi siete dice "insegnati" da Dio". Leggiamo: "Riguardo all'amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti "siete insegnati" da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo voi fate". 
Qui troviamo l'adempimento della promessa della nuova alleanza. Geremia, in un tempo di catastrofe tremenda, aveva annunciato che Dio voleva stabilire un'alleanza nuova, non come l'alleanza del Sinai, nella quale le leggi erano scritte sulla pietra e non cambiavano niente nel cuore dell'uomo, ma un'alleanza in cui Dio avrebbe scritto le sue leggi nel "cuore", all'interno dell'uomo, per trasformare il suo cuore. 
 
 La nuova alleanza è stata stabilita in effetti da Gesù quando, presentando il calice del vino nell'Ultima cena disse: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue". I Tessalonicesi sono entrati nella nuova alleanza e perciò sono "insegnati" da Dio ad amare, ad amarsi gli uni gli altri. L'insegnamento divino qui non riguarda una serie di verità da credere; riguarda invece un impegno di vita, riguarda la cosa più importante: l'amore. Siamo creati per amare, e la cosa più importante per ciascuno di noi è trovare la sua forma di amore generoso, che gli viene insegnato da Dio. Un insegnamento che non è soltanto teorico, ma che è efficace. Quando Dio insegna nel cuore, l'azione segue: "Questo voi fate scrive san Paolo verso tutti i fratelli dell'intera Macedonia". I Tessalonicesi sono animati dalla carità divina e non hanno quindi bisogno di una esortazione speciale. Al tempo di Geremia, il profeta era mandato ad esortare, a scongiurare, e questo non serviva a niente, perché il popolo aveva il cuore indurito, le orecchie chiuse. Adesso la situazione è completamente cambiata: non è più necessario esortare.   Tuttavia Paolo esorta, ma a che cosa? Esorta ad "abbondare di più". Ritroviamo qui questa espressione che abbiamo già incontrato più volte in questa lettera: "Vi esortiamo, fratelli, ad "abbondare di più"", letteralmente, ad amare, quindi, con più intensità. Le grazie non sono un tesoro inerte, che basterebbe conservare in luogo sicuro per non perderle; sono germi di vita, sono sementi che vogliono produrre belle piante e frutto rigoglioso. Nel Vangelo di oggi Gesù ci parla del servo che è andato a nascondere sottoterra il talento ricevuto; non viene presentato come un modello da seguire, anzi! Viene severamente rimproverato, chiamato "servo malvagio e infingardo"... 
 
 Nella lettera ai Galati e in. quella ai Romani san Paolo ha impugnato la pretesa umana di giustificarsi per mezzo delle opere della legge, ha ribadito che la base della vita cristiana non sta nelle nostre opere, bensì nel dono gratuito di Dio che accogliamo per mezzo della fede. E possibile capire male questo insegnamento di Paolo, come se le opere non fossero necessarie nella vita cristiana, ma san Paolo stesso ha poi precisato che la fede produce le sue opere. Non sono più le opere della legge, che l'uomo pretende di compiere con le proprie forze; sono "opere della fede", cioè che l'uomo realizza nella docilità alla grazia di Dio e con la forza che da essa viene, non con la propria forza umana. Ciò che conta dice san Paolo è la fede che opera nell'amore. Per questo l'apostolo esorta i Tessalonicesi ad "abbondare di più" nella carità fraterna. 
Il nostro sforzo deve essere rivolto ad accogliere attivamente il dinamismo della vita di fede, per collaborare con il Signore alla trasformazione del mondo.
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 25, 14 - 30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 25, 14 - 30 
 I talenti, doni da fruttificare.
Nell'attesa del Signore che viene non dobbiamo restare inoperosi e sfaccendati. Non ci è lecito neanche nascondere, con il pretesto di una falsa umiltà, nascondere il prezioso talento che il buon Dio ci ha affidato. Sin dalla creazione egli ha dotato l'uomo di doni particolari affinché diventi il custode e il continuatore della sua opera. Oltre però a quest'impegno che riguarda tutta l'umanità, ad ognuno di noi ha dato un certo numero di talenti, secondo un suo arcano disegno. I talenti sono i doni di anima e di corpo che ci rendono concretamente capaci di operare per la gloria di Dio e per il bene nostro e del nostro prossimo. Ai suoi occhi non è importante che noi stiamo ad arrovellarci il cervello per valutare quali e quanti sono i suoi doni, ciò che conta che tutti, pochi o tanti, siano messi doverosamente a frutto e ciò anche perché egli ci premia con la stessa misura sia se abbiamo fatto fruttificare un solo talento, sia se ne abbiamo moltiplicati cinque: «Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il premio è la gioia, che ha una duplice manifestazione: sulla terra è la gratificazione che sgorga dall'operare il bene, nel cielo è la beatitudine eterna. Scopriamo poi che ancora una volta la fedeltà al Signore trae origine dall'amore che abbiamo verso di lui, come l'infedeltà ha le sue radici nella concezione erronea che abbiamo del nostro Dio e Signore: «Signore, - sono le parole del servo infedele - so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo». Forse sono ancora tanti che pensano a Dio come un uomo duro e troppo esigente per cui nei suoi confronti nutrono solo paura e non amore.
 
 Il vangelo di oggi ci narra la parabola dei talenti. Questa parabola era tra due parabole: la parabola delle Dieci Vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio Finale (Mt 25,31-46). Le tre parabole chiariscono ed orientano le persone sulla venuta del Regno. La parabola delle Dieci Vergini insiste sulla vigilanza: il Regno può arrivare in qualsiasi momento. La parabola del Giudizio Finale dice che per possedere il Regno bisogna accogliere i piccoli. La parabola dei Talenti orienta su come fare per far crescere il Regno. Parla dei doni o carismi che le persone ricevono da Dio. Ogni persona ha delle qualità, sa qualcosa che può insegnare agli altri. Nessuno è solo alunno, nessuno è solo professore. Impariamo gli uni dagli altri.
 
 Una chiave per capire la parabola: Una delle cose che più influisce nella vita della gente è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano che Dio fosse un giudice severo, che trattava alle persone secondo il merito conquistato dalle osservanze. Ciò produceva paura ed impediva alle persone di crescere. Soprattutto impediva che si aprissero uno spazio dentro di sé, per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.
 
 Matteo 25,14-15: La porta d’ingresso nella storia della parabola. Gesù racconta la storia di un uomo che, prima di viaggiare, distribuisce i suoi beni ai servi, dando loro cinque, due o un talento, secondo la capacità di ognuno. Un talento corrisponde a 34 chili d’oro, il che non è poco. In definitiva, ognuno riceve lo stesso, perché riceve “secondo la sua capacità”. Ogn’uno riceve la sua piccola o grande coppa piena. Il padrone se ne va all’estero e vi rimane molto tempo. La storia produce una certa suspense. Non si sa con quale scopo il padrone consegna il suo denaro ai servi, né si sa quale sarà la fine.
 
 Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni servo. I due primi lavorano e fanno duplicare i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo sotterra per non perderlo. Si tratta dei beni del Regno che sono dati alle persone e alle comunità secondo le loro capacità. Tutti ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!
 
 Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo servo, e risposta del Signore. Dopo molto tempo, il padrone ritorna. I due primi dicono la stessa cosa: “Signore, mi hai consegnato cinque/due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque/due!” E il padrone dà la stessa risposta: “Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone!” 
 
 Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo servo. Il terzo servo giunge e dice. “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotto terra: ecco qui il tuo!” In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. Il servo considera Dio come un padrone severo. Dinanzi a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che, agendo così, la severità del legislatore non lo castigherà. In realtà, una persona così non crede in Dio, ma crede solo in se stessa e nella sua osservanza della legge. Si rinchiude in sé, si allontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, termina con la gioia ed impoverisce la vita.
 
 Matteo 25,26-27: La risposta del Signore al terzo servo. La risposta del Signore è ironica. Dice: “Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse!” Il terzo impiegato non è stato coerente con l’immagine severa che aveva di Dio. Se lui immaginava che Dio era severo, avrebbe dovuto per lo meno mettere il denaro in banca. Ossia è condannato non da Dio ma dall’idea sbagliata che aveva di Dio e che lo lascia più immaturo e timoroso di quanto doveva essere. Non gli era stato possibile essere coerente con quella immagine di Dio, perché la paura lo disumanizza e gli paralizza la vita.
 
 Matteo 25,28-30: La parola finale del Signore che chiarisce la parabola. Il padrone ordina di andare a prendere il talento e di darlo a colui che ne ha dieci,Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Ecco la chiave che chiarisce tutto. In realtà, i talenti, il “denaro del padrone”, i beni del Regno, sono l’amore, il servizio, la condivisione. È tutto quello che fa crescere la comunità e rivela la presenza di Dio. Chi si chiude in sé con la paura di perdere il poco che ha, costui perderà perfino quel poco che ha. Ma la persona che non pensa a sé, e si dona agli altri, cresce e riceve a sua volta, in modo inesperto, tutto ciò che ha dato e molto di più. “Chi perde la vita la ottiene, e ottiene la vita chi ha il coraggio di perderla”
 
 La moneta diversa del Regno. Non c’è differenza tra coloro che hanno ricevuto di più o di meno. Tutti hanno il loro dono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che questo dono sia messo al servizio del Regno e faccia crescere i beni del Regno che sono amore, fraternità, condivisione. La chiave principale della parabola non consiste nel far rendere e produrre i talenti, ma nel relazionarsi con Dio in modo corretto. I due primi non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non tengono per sé, non si chiudono in se stessi, non calcolano. Con la maggiore naturalezza del mondo, quasi senza rendersene conto e senza cercarsi merito, cominciano a lavorare, in modo che il dono dato da Dio renda per Dio e per il Regno. Il terzo ha paura, e per questo non fa nulla. D’accordo con le norme dell’antica legge, lui agisce correttamente. Si mantiene nelle esigenze. Non perde nulla e non guadagna nulla. Per questo, perde perfino ciò che aveva. Il regno è rischio. Chi non vuole correre rischi, perde il Regno!
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6) Per un confronto personale
• Nella nostra comunità, cerchiamo di conoscere e valorizzare i doni di ogni persona? La nostra comunità è uno spazio dove le persone possono far conoscere e mettere a disposizione i loro doni? A volte, i doni di alcuni generano invidia e competitività negli altri. Come reagiamo?
• Come capire la frase: "Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?”
 
7) Preghiera finale: Salmo 97
Il Signore viene a giudicare i popoli con rettitudine.
 
Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo.      
 
Risuoni il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne.         
 
Davanti al Signore che viene a giudicare la terra:
giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine.