mercoledì 11 agosto 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • mercoledì | 11 agosto 2021

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Lectio mercoledì 11 agosto 2021

 
Mercoledì della Diciannovesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)

 
Deuteronomio 34, 1 - 12 
Matteo 18, 15 - 20 
 
 
1) Preghiera 
Dio misericordioso, che hai ispirato a santa Chiara un ardente amore per la povertà evangelica, per sua intercessione concedi anche a noi di seguire Cristo povero e umile, per godere della tua visione nella perfetta letizia del tuo regno.
 
Chiara (Assisi 1193 – 11 agosto 1253) «seguì in tutto le orme di colui che per noi si è fatto povero e via, verità e vita». Fedele discepola di san Francesco, fondò con lui il secondo Ordine (Clarisse). Esercitò il suo ufficio di guida e madre, studiandosi «di presiedere alla altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché le sorelle obbedissero più per amore che per timore». Seppe trasformare i suoi lunghi anni di malattia in apostolato della sofferenza. Attinse dalla sua fede eucaristica una forza straordinaria che la rese intrepida anche di fronte alle incursioni dei Saraceni (1230). In un certo modo essa preannuncia la forte iniziativa femminile che il suo secolo e il successivo vedranno svilupparsi nella Chiesa.
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2) Lettura: Deuteronomio 34, 1 - 12 
In quei giorni, Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutta la terra: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, la terra di Èfraim e di Manasse, tutta la terra di Giuda fino al mare occidentale e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Soar. Il Signore gli disse: «Questa è la terra per la quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: “Io la darò alla tua discendenza”. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!». Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l’ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nella terra di Moab, di fronte a Bet-Peor. Nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba. Mosè aveva centoventi anni quando morì. Gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno. Gli Israeliti lo piansero nelle steppe di Moab per trenta giorni, finché furono compiuti i giorni di pianto per il lutto di Mosè. 
Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui. Gli Israeliti gli obbedirono e fecero quello che il Signore aveva comandato a Mosè.
Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d’Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele.
 
3) Commento su Deuteronomio 34, 1 - 12 
 Nella prima lettura di oggi troviamo il racconto della morte di Mosè. Mosè muore prima dell'entrata nella Terra promessa. Il Signore gli dice: "Questo è il paese che ho promesso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe... 
“Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!". Mosè non ha potuto portare a termine la grande impresa divina incominciata con l'esodo dall'Egitto; malgrado tutte le sue doti, tutte le grazie ricevute, egli non ha adempiuto l'impresa: ne ha fatto la parte principale, lasciando a Giosuè le gesta finali. È un fatto che osserviamo regolarmente nell'Antico Testamento e che dimostra che niente nell'Antico Testamento è perfetto adempimento del progetto di Dio. Troviamo, nell'AT, molte prefigurazioni di Cristo, però nessuna di esse è perfetta. Mosè per l'inizio, Giosuè per la fine, prefigurano ciascuno un aspetto dell'opera di Cristo. Il mistero di Cristo è tanto ricco che non poteva essere prefigurato in una sola vita umana. 
 
 Vediamo, all'inizio della Genesi, che già Abele prefigura il mistero di Cristo; Abele muore, ma in un certo senso si manifesta vivo dopo la morte: la voce del suo sangue si fa sentire, secondo il racconto biblico. Però in realtà Abele rimane morto, non risorge. Prefigura in modo imperfetto la risurrezione di Cristo. Similmente per il sacrificio di Abramo: Isacco ne esce vivo, però lui non è morto; prefigura parzialmente la risurrezione di Cristo, che esce vivo dal proprio sacrificio, ma per aver vinto la morte, passando attraverso la morte. Nella storia di Giuseppe vediamo che i suoi fratelli lo odiano al punto che lo vogliono uccidere, e questa è una prefigurazione della passione di Gesù, però non lo uccidono: anche qui la prefigurazione è imperfetta. Giuseppe si ritrova vivo in Egitto, senza aver subito la morte. 
 
 Così avviene per tutte le prefigurazioni: vi vediamo un aspetto del mistero di Cristo, ma non il mistero totale. Il regno di Davide prefigura il regno di Cristo; ma Davide non è stato in grado di edificare la casa di Dio. Salomone costruisce il tempio, però si tratta solo di un edificio materiale, non della vera "casa" di Dio. Un vero tempio è Cristo risorto, come vediamo nel Vangelo di Giovanni. Solo Cristo è la pienezza. Cristo adempie tutte le prefigurazioni; realizza nel suo mistero pasquale una sintesi straordinaria, stupenda, di tutti gli aspetti del piano di Dio. Possiamo provare una grande ammirazione per questo mistero di Cristo, che illumina tutto l'Antico Testamento e ne viene anche parzialmente illuminato. Cristo ha adempiuto tutte le figure; Cristo è la pienezza della grazia. Approfondiamo la nostra fede in lui, quando riflettiamo sulle figure antiche e vediamo come egli le ha adempiute e superate. 
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 18, 15 - 20 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 18, 15 - 20 
 Correzione fraterna.
In tanti modi si esprime la carità fraterna. Ci convince immediatamente di saperla praticare il dare qualcosa di nostro agli altri. Quando riempiamo o almeno non lasciamo vuota la mano che supplisce, si muove verso di noi, quando ci priviamo con sacrificio di qualcosa che ci è caro per donarlo al nostro prossimo diventiamo caritatevoli e adempiamo il precetto del Signore di amare il nostro prossimo come noi stessi. La correzione fraterna è sicuramente una forma di carità alquanto rara proprio perché è particolarmente difficile praticarla. Richiede innanzitutto vero amore, squisita sensibilità, tatto e delicatezza. La prudenza e la buona psicologia ci debbono essere di aiuto per non commettere errori e per sortire gli effetti sperati. La prima condizione però è la preghiera intensa e reiterata perché solo con la grazia divina riusciamo a raggiungere il cuore del nostro prossimo e guadagnarlo al bene e al Signore. L'umile invocazione dello Spirito ci consente di attingere la luce necessaria per formulare la nostra ammonizione nel modo migliore senza offendere, ma solo per guarire il fratello dal suo male. Talvolta, quando incontriamo resistenze e particolare durezza di cuore, dobbiamo coinvolgere altri fratelli in questa difficile opera: abbiamo bisogno della loro preghiera e della loro fattiva collaborazione. Per questo Gesù ci ricorda: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». In casi particolarissimi e fortunatamente rari ai nostri giorni, deve essere inevitabilmente coinvolta la chiesa gerarchica affinché intervenga con il peso della grazia e dell'autorità di cui gode. È importante tener sempre presente che la correzione fraterna di cui parla il Signore e a cui ci Egli ci esorta deve essere sempre uno squisito atto di carità e di amore fraterno, mai un mero gesto di autorità e ancor meno solo di condanna.
 
 Il vangelo di oggi parla di correzione fraterna (Mt 18,15-18) e di preghiera in comune (Mt 18,19-20). Quello di domani parla di perdono (Mt 18,21-22) e riporta la parabola del perdono senza limiti (Mt 18,23-35). La parola chiave di questa seconda parte è “perdonare”. L’accento cade sulla riconciliazione. Perché ci possa essere riconciliazione che permetta il ritorno dei piccoli, è importante saper dialogare e perdonare, poiché il fondamento della fraternità è l’amore gratuito di Dio. Solo così la comunità sarà un segno del Regno. Non è facile perdonare. Certi magoni continuano a martellare il cuore. Ci sono persone che dicono: "Perdono, ma non dimentico!" Risentimento, tensioni, scontri, opinioni diverse, offese, provocazioni rendono difficili il perdono e la riconciliazione.
 
 L’organizzazione delle parole di Gesù nei cinque grandi Discorsi del vangelo di Matteo indicano che alla fine del primo secolo, le comunità avevano forme ben concrete di catechesi. Il Discorso della Comunità (Mt 18,1-35), per esempio, riporta istruzioni attualizzate di come procedere in caso di qualche conflitto tra i membri della comunità e di come trovare criteri per risolvere i conflitti. Matteo riunisce quelle frasi di Gesù che possono aiutare le comunità della fine del primo secolo a superare i due problemi più acuti che dovevano affrontare in quel momento, cioè l’esodo dei piccoli a causa degli scandali di alcuni e la necessità di dialogo per superare il rigorismo di altri ed accogliere i piccoli, i poveri, in comunità.
 
 Matteo 18,15-18: La correzione fraterna e il potere di perdonare. Questi versi riportano norme semplici di come procedere in caso di conflitto in comunità. Se un fratello o una sorella peccassero, se avessero un comportamento non secondo la vita della comunità, non si deve subito denunciarli. Prima bisogna cercare di conversare da soli con loro. Poi bisogna cercare di sapere i motivi dell’altro. Se non si ottengono risultati, allora bisogna portare due o tre persone della comunità per vedere se si ottiene qualche risultato. Solo in casi estremi, bisogna esporre il problema a tutta la comunità. E se la persona non volesse ascoltare la comunità, allora che sia per te “come un pubblicano o un pagano”, cioè, come qualcuno che non fa parte della comunità. Non sei tu che escludi, ma è la persona, lei stessa, che si esclude da sé. La comunità riunita non fa altro che constatare e ratificare l’esclusione. La grazia di poter perdonare e riconciliare in nome di Dio fu data a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) e, qui nel Discorso della Comunità, alla comunità stessa (Mt 18,18). Ciò rivela l’importanza delle decisioni che la comunità assume in rapporto ai suoi membri.
 
 Matteo 18,19: La preghiera in comune. L’esclusione non significa che la persona viene abbandonata alla propria sorte. No! Può essere separata dalla comunità, ma mai sarà separata da Dio. Nel caso in cui la conversazione nella comunità non dia risultato, e la persona non voglia integrarsi nella vita della comunità, rimane l’ultima possibilità di rimanere insieme al Padre per ottenere la riconciliazione. E Gesù garantisce che il Padre ascolterà: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
 
 Matteo 18,20: La presenza di Gesù in comunità. Il motivo della certezza di essere ascoltati dal Padre è la promessa di Gesù: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!” Gesù è il centro, l’asse, della comunità e, come tale, insieme alla Comunità, pregherà sempre con noi il Padre, affinché conceda il dono del ritorno al fratello o alla sorella che si escluse.
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6) Per un confronto personale
• Perché è così difficile perdonare? Nella nostra comunità c’è un po’ di spazio per la riconciliazione? In che modo?
• Gesù disse: "Perché dove due o tre sono riuniti del mio nome, io sono in mezzo a loro". Cosa significa questo per noi oggi?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 65
Sia benedetto Dio: è lui che ci mantiene tra i viventi.
 
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».
 
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Popoli, benedite il nostro Dio,
fate risuonare la voce della sua lode.
 
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
A lui gridai con la mia bocca,
lo esaltai con la mia lingua.