venerdì 11 giugno 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno

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  • venerdì | 11 giugno 2021

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Lectio venerdì 11 giugno 2021

 
Venerdì della Decima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Sacratissimo Cuore di Gesù
 
Lettera agli Efesini 3, 8 - 12. 14 - 19
Giovanni 19, 31 - 37
 
 
1) Preghiera 
Padre di infinita bontà e tenerezza, che mai ti stanchi di sostenere i tuoi figli e di nutrirli con la tua mano, donaci di attingere dal Cuore di Cristo trafitto sulla croce la sublime conoscenza del tuo amore, perché rinnovati con la forza dello Spirito portiamo a tutti gli uomini le ricchezze della redenzione.
 
La devozione al Sacro Cuore non risale solo al XVII secolo: già i salmi, nell'A.T., ne parlavano e nel Vangelo, il grande diffusore di questa devozione è san Giovanni che posò addirittura il suo capo sul cuore di Gesù. Poi, dopo sviluppi successivi dovuti a S. Jean Eudes, vennero le dodici promesse, una più bella dell'altra, rivelate a Santa Margherita M. Alacoque, (1647-1690) per far amare di più il Sacro Cuore di Gesù:
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2) Lettura: Lettera agli Efesini 3, 8 - 12. 14 - 19
Fratelli, a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. 
Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
 
3) Riflessione su Lettera agli Efesini 3, 8 - 12. 14 - 19
 "A me, che sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell'universo, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui". (Ef 3,8-9. 11-12) - Come vivere questa Parola?
S. Paolo, nella sua umiltà, non esita a dichiararsi "l'infimo tra tutti i santi", cioè l'ultimo tra tutti quelli che vogliono camminare in Cristo Gesù secondo i dettami del Vangelo. Eppure, poiché umiltà è verità, egli non nasconde di aver ricevuto l'inestimabile grazia di conoscere e rivelare a tutti, (anche a noi oggi!) le meraviglie del disegno di Dio. Esso è un tale amore da salvare tutti quelli che, liberamente, aderiscono a Dio.
Ma come avviene questo procedimento di salvezza? Paolo fa coincidere appunto il disegno di Dio, quello per cui "ha talmente amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito", con il coraggio (che ci è donato) di "avvicinarci a Lui in piena fiducia". La ragione di questa piena fiducia? La passione, morte e risurrezione di Gesù, il suo ‘raccontarsi' a noi nel Vangelo, rivelandoci l'amore del Padre e quindi la modalità di questo nostro "coraggio" di "piena fiducia".
Sarà bene che prenda coscienza di una cosa importante. Specie oggi c'è chi ritiene lontano, inaccessibile Dio: quasi non ci fosse. C'è anche però chi ne banalizza il mistero con pratiche di magia, di superstizione e fanatismo. Come se l'infinita grandezza di Dio potesse venire precettata dagli uomini. No, non è così! Tuttavia io ho ancora da imparare che proprio per il suo avermi amato con tutto il darsi in croce del Figlio Gesù, posso avere il coraggio di contattarlo. Non si tratta solo di rispetto e devozione, ma di piena fiducia. È questa fiducia la ragione della mia serenità di fondo, dentro i miei giorni? Chiedo, in preghiera, che sia così.
Signore, donami un cuore fiducioso in Te.
Ecco la voce del fondatore della Comunità Monastica Ecumenica di Taizè, Frère Roger di Taizé: «Dio può solo dare il suo amore», scriveva nel VII secolo un teologo, Sant'Isacco di Ninive. E il suo amore ci rende la fede accessibile. Ma che cos'è la fede? La fede è un'umile realtà, un'umilissima fiducia in Dio. Se la fede diventasse pretesa spirituale, non porterebbe da nessuna parte. Allora capiamo l'intuizione di Sant'Agostino: «Se hai il semplice desiderio di conoscere Dio, hai già la fede».
 
 "Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.” (Ef 3,14-19) - Come vivere questa Parola?
Paolo è "rapito" in cuore dall'ampiezza e profondità del mistero di Dio che ci è rivelato in Cristo. "Essere ricolmi della pienezza di Dio" è dunque il senso profondo della nostra vocazione cristiana; è lo spalancarsi di un orizzonte infinito che già può aprirsi a noi in qualche misura in questa vita. Si tratta però della dimensione contemplativa del nostro credere. "Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori" c'invoca Paolo. Certe persone che pure dicono di credere e vivono una certa pratica religiosa, sono però sempre oppresse. Trascinano - da sole e affannate - un carico pesantissimo di cose da fare: sul piano etico-spirituale e pratico. L'immagine che danno del cristianesimo è sfocata e triste. Manca la radiosità dell'amore, manca l'orizzonte contemplativo, manca la gioia di essere "abitati" e "rafforzati interiormente" da Cristo.
Farò esercizio di una vera discesa nelle profondità del cuore, dove contattare, per la fede, Gesù che è in me. A Lui chiederò di essere "fondato e radicato nella carità" dentro il mio quotidiano. E così, con Gesù, seminando atteggiamenti e azioni caritatevoli, saremo in grado di spalancarci interiormente all'ampiezza, lunghezza, profondità di quell'amore di Cristo che supera ogni capacità conoscitiva solo razionale. Ed ecco, per grazia, se attendo e credo perseverando in fiducia, verrò colmato, giorno dietro giorno, della pienezza di Dio. A che altro anelare per questa vita e per l'altra?
Prego col ritmo dei miei passi: Gesù, Cristo, Signore.
Ecco la voce di un Papa Giovanni Paolo II: "All'umanità che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell'egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il Suo Amore che perdona, riconcilia e apre l'animo alla speranza".
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4) Lettura: Vangelo secondo Giovanni 19, 31 - 37
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».
 
  
5) Riflessione sul Vangelo secondo Giovanni 19, 31 - 37
 Il cuore che tanto ci ama.
«Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini», così il nostro Redentore si rivelava ad una sua devota ed innamorata, Santa Margherita Maria Alaquoque. Oggi celebriamo quell’amore che è stato riversato nei nostri cuori, che ci ha meritato la salvezza, che ci ha liberati dal male, ci ha riconciliati con il Padre, ci ha fatto riscoprire la fraternità tra noi. Quando gli studiosi hanno esaminato il miracolo eucaristico di Lanciano hanno scoperto che l’ostia diventata carne umana, è una sezione del miocardio; hanno voluto dirci così che Gesù ci dona il suo cuore per stabilire una perfetta comunione con noi. L’evangelista Giovanni, che nell’Ultima cena posò il suo capo sul petto del Signore, ebbe il privilegio di sentirne il pulsare intenso mentre egli stava per celebrare la prima consacrazione e poi iniziare la sua crudelissima passione. Maria di Magdala sentì in lei i salutari effetti di quell’amore, si sentì amata, perdonata e convertita, e con lei una schiera di peccatori, di uomini e donne oppressi dal male fisico e spirituale. Chi di noi non ha sentito con la gioia del perdono l’intensità di quell’amore? Chi dopo una comunione eucaristica non si sentito amato, preso, coinvolto, immerso in quel cuore? La chiesa ha preso coscienza della perennità di quell’amore, legato al memoriale della sua passione, morte e risurrezione, legato alla fedeltà dei suoi, alla santità di tanti e tante, che lo hanno testimoniato con il martirio e con l’eroicità della virtù cristiane. Siamo certi che il cuore di Cristo pulsa ancora nel nostro mondo e non smette di amarci anche quando abbiamo la triste impressione che alte barriere siano state erette tra noi e Lui. Egli è venuto proprio per abbattere il muro di separazione che il peccato aveva innalzato. In quell’amore egli si rivela ai piccoli, da quell’amore siamo guidati verso il vero bene, in quel cuore troviamo conforto quando siamo affaticati ed oppressi, lì troviamo ristoro, lì pregustiamo i primi bagliori della nostra finale risurrezione. È santa energia per noi, è la forza di Dio in noi per portare i nostri pesi, per fare della fatica della nostra vita, l’offerta quotidiana del nostro volontario tributo di gratitudine e di lode a Cristo e in Lui alla Trinità beata. È un cuore aperto e radioso quello che Cristo ancora oggi ci si mostra, è trafitto dal peccato, ma irradia ancora la sua grazia che ci santifica, che ci purifica e ci rende santi. Oggi fissiamo quel cuore umano e divino, ci immergiamo in esso e ci specchiamo in esso per sorbirne lo splendore, per sintonizzarci con quei battiti, per fargli sentire la nostra infinita gratitudine nello sforzo quotidiano di ripeterne le virtù e di imitarne l’intensità.
 
 Il riposo festivo e la richiesta a Pilato (19,31-33):
I dirigenti giudei, in forza della purezza legale richiesta dalla Pasqua ormai imminente e preoccupati che l’esecuzione della morte di Gesù potesse profanare il giorno del sabato o la stessa festa di Pasqua, «chiesero a Pilato affinché facesse spezzare loro le gambe e li facesse togliere». Essi non pensano minimamente che la loro Pasqua è stata sostituita da quella di Gesù. Significativa è la menzione dei corpi. Non solo, quello di Gesù ma anche di quelli crocifissi con lui. Come ad esprimere la solidarietà di Gesù verso quelli che sono crocifissi con lui e verso ogni uomo.
Il corpo di Gesù sulla croce che lo rende solidale con tutti gli uomini, è per l’evangelista il santuario di Dio (2,21). I corpi dei crocifissi non potevano restare sulla croce il giorno di sabato, era in gioco la preparazione della festa più solenne della tradizione ebraica. Ma ugualmente la festa sarà privata del suo contenuto tradizionale e sostituito da quello della morte e resurrezione di Gesù. 
«I giudei» rivolgono a Pilato delle richieste concrete: vengano spezzate le gambe ai corpi dei crocifissi perché si acceleri la loro morte e venga tolto l’ingombro che essi rappresentano in questo particolare momento. Nessuna di queste richieste si realizza nei confronti di Gesù: i soldati non gli spezzeranno le gambe; nemmeno lo toglieranno dalla croce.
 
 Il costato trafitto (19,34):
Difatti, i soldati spezzano le gambe a coloro che sono con Gesù, ma giunti da Gesù, vedendolo «che era già morto, non gli spezzarono le gambe». É significativo che i soldati spezzino le gambe ai crocifissi con Gesù. Essi che sono vivi, ora che è morto Lui, possono morire anche loro. É come dire che Gesù precedendoli con la sua morte ha aperto loro la via verso il Padre, ed essi lo possono seguire. Affermando che non gli spezzarono le gambe, l’evangelista sembra dire: Nessuno può togliere la vita a Gesù, egli l'ha data di propria iniziativa (10,17s; 19,30). «Uno dei soldati, con una lancia, gli trafisse il costato, e immediatamente uscirono sangue e acqua». Il lettore si trova sorpreso del gesto del soldato, perché se era già morto, quale la necessità di trafiggerlo? Evidentemente l’ostilità continua dopo la morte: la trafittura con la punta della lancia vuole distruggerlo per sempre. Questo gesto di odio permette a Gesù di dare amore che produce vita. Il fatto è di un'importanza eccezionale e possiede una grande ricchezza di significato. Il sangue che esce dal costato trafitto di Gesù simboleggia la sua morte, che egli accetta per salvare l'umanità; è espressione della sua gloria, del suo amore fino all'estremo (1,14; 13,1); è la donazione del pastore che si dona per le pecore (10,11); è l’amore dell'amico che da la vita per i suoi amici (15, 13). Questa estrema prova d'amore, che non si arresta davanti al supplizio della morte in croce, è oggetto di contemplazione per noi in questo giorno di solennità del Sacro Cuore di Gesù. Dal suo costato trafitto sgorga l'amore, che al tempo stesso è inseparabilmente suo e del Padre. Anche l’elemento dell'acqua che sgorga rappresenta, a sua volta, lo Spirito, principio di vita. Il sangue e l’acqua evidenziano il suo amore dimostrato e il suo amore comunicato. L'allusione ai simboli dell’acqua e del vino nelle nozze di Cana è palese: è giunta l'ora in cui Gesù dà il vino del suo amore. Ora hanno avuto inizio le nozze definitive. La legge dell'amore estremo e sincero (1,17) che egli manifesta sulla croce, ribadita nel suo comandamento, «come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri (13,34), viene infusa nel cuore dei credenti con lo Spirito. Il progetto divino dell’amore viene completato in Gesù nel fluire del sangue e dell’acqua (19,28-30); ora si attende che si realizzi il completamento negli uomini. In tale completezza l’uomo sarà aiutato dallo Spirito che sgorga dal costato trafitto di Gesù che, trasformandoli in uomo nuovo, gli darà la capacità d'amare e di diventare figlio di Dio (1, 12).
 
 Testimonianza dell'evangelista e della Scrittura.
Davanti allo spettacolo di Gesù trafitto sulla croce, l’evangelista, dà prova di una grande e solenne testimonianza, perché tutti quelli che lo ascoltano giungano a credere. Questa manifestazione definitiva e suprema sarà il fondamento della fede dei discepoli futuri. Da notare che solo in questo episodio l'evangelista si rivolge ai suoi lettori col «voi»: «affinché anche voi giungiate a credere».
Il costato trafitto di Gesù sulla croce è il grande segno verso il quale convergono tutti quei personaggi menzionati lungo il vangelo, ma soprattutto i lettori odierni, ai quali viene concesso di comprendere il pieno significato dell’esistenza di Gesù. Il racconto del costato trafitto è, per l’evangelista, la chiave interpretativa del suo darsi per la salvezza dell’umanità. E anche se tale segno può sembrare paradossale al lettore odierno, nel piano di Dio diventa manifestazione della sua potenza salvifica. Non poteva scegliere Dio un’altro segno per manifestarsi come amore che salva? Perché ha scelto quella di un uomo condannato a morte e morto su una croce? Quale immagine di Dio Gesù realizza in questo segno: Dio si manifesta soltanto nell'amore generoso capace di dare vita.
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6) Per un confronto personale
- Nella tua preghiera personale quale importanza ricopre la contemplazione del cuore trafitto di Gesù? Ti lasci coinvolgere dai simboli del sangue e dell’acqua che esprimono il dono misterioso di Dio alla tua persona e all’umanità?
- Hai mai pensato che dove si ha il massimo del rifiuto di Dio e della morte di Cristo, inizia, anche il momento della grazia, della misericordia, del dono dello Spirito, della vita di fede?
- Come vedi le tue debolezze? Ti accade di considerarle come lo strumento e il luogo della misericordia, soprattutto quando sai ammetterle? Non sai che possono essere lo strumento con cui Dio evangelizza il tuo cuore, ti salva, ti perdona, e ti fa nascere all’amore con amore?
- Le persone che si allontanano da Dio, i giovani difficili, le violenze, le ostilità... spesso creano dentro di noi motivi di lamentela, di disagio, di amarezza, di sconforto, di scetticismo. Non hai mai pensato che Dio sta salvando gli uomini nel loro peccato e a partire da esso? Hai mai pensato ai tanti uomini, donne, giovani, che nelle carceri o nelle comunità di recupero dei tossicodipendenti sperimentano in coloro che li aiutano l’incontro con il Signore e si sentono da lui amati e salvati?
 
 
7) Preghiera finale: Isaia 12, 2 - 6
Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza.
 
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.   
 
Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.
 
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.