Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - mercoledì 18 novembre 2020

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  • mercoledì | 18 novembre 2020

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Lectio mercoledì 18 novembre 2020
 
 
Mercoledì della Trentatreesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo

 
Atti degli Apostoli 28, 11 – 16; 30 - 31 
Matteo 14, 22 - 33  
 
 
1) Preghiera 
O Dio, che soprattutto in queste Sacrosante Basiliche, fai risplendere le figure e la missione di San Pietro e San Paolo Apostolo, concedi benigno a noi di essere sempre custoditi dalla sua dottrina e dai suoi meriti.
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2) Lettura: Atti degli Apostoli 28, 11 – 16; 30 - 31   
11Dopo tre mesi salpammo con una nave di Alessandria, recante l'insegna dei Diòscuri, che aveva svernato nell'isola. 12Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni. 13Salpati di qui, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli. 14Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Quindi arrivammo a Roma. 15I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.
30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, 31annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
 
3) Commento su  Atti degli Apostoli 28, 11 – 16 ; 30 - 31
• La nave alessandrina che porta Paolo, ha l'insegna di Castore e Polluce Atti 28:11; ma non sono i Dioscuri, no, che proteggono cotesta nave; è Cristo, il Capo della Chiesa che la protegge, e che condurrà Paolo là dove Dio vuole.
Paolo, a Pozzuoli, cerca e trova i "fratelli"; "i fratelli" lo pregano di fermarsi una settimana Atti 28:14; Paolo si ferma e passa una domenica con loro; intanto, quei fratelli di Pozzuoli avvisano i fratelli di Roma Atti 28:15; i quali non possono stare alle mosse; e in due comitive vengono incontro a Paolo ed ai suoi compagni; e gli uni fanno nientemeno che quarantatre miglia e gli altri, trentatre. Celeste è questa "corrispondenza d'amorosi sensi" per cui i fratelli vivono gli uni per gli altri, desiderano di vedersi, parlarsi, abbracciarsi; e quando sono divisi e lontani, si tengono pur sempre assieme nella divina, santificante atmosfera della speranza e dell'amore. Volete un segno che vi mostri in modo certo che avete nel santuario del cuore la fede vera che Iddio gradisce? Se amate i vostri fratelli, se desiderate di stare in comunione con loro, se sentite che il contemplare l'energia della loro vita spirituale fa del bene alla vita spirituale vostra, dite pure con santa baldanza che, cotesta fede, l'avete.
 
Ed ecco l'apostolo a Roma Atti 28:16. Osservate il contrasto. Paolo vi giunge come uno straniero senza casa, senza tetto... e, al tempo stesso, v'è accolto a braccia aperte da gente che l'ama d'un amore ardente: vi giunge incatenato come un malfattore... e, al tempo stesso, con la coscienza tranquilla d'un uomo sicuro dell'approvazione di Dio; vi giunge come un uomo sacrato alla morte; come un uomo che Roma ucciderà... e, al tempo stesso, è un conquistatore che trionfante issa la bandiera di Cristo sul baluardo più forte del paganesimo.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 14, 22 - 33  
22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 14, 22 - 33  
Tu sei veramente il Figlio di Dio!
Già gli ebrei nel vecchio testamento imploravano così il Signore: «Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso». Ci piace pensare e credere all'onnipotenza di Dio soprattutto se la immaginiamo a nostro uso e consumo. Ricorre frequentemente per i religiosi di ogni tempo la tentazione che induce a pensare che dalla fede e dalla fedeltà debba scaturire quasi come dovuta una adeguata ricompensa. Che Dio ce lo debba... Oppure, ancor peggio, che la nostra fede debba essere continuamente alimentata da prodigi. Ecco la voce stridula di Pietro: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Gesù acconsente, ma poi dimostra a Pietro e a tutti noi che la fede non serve tanto per camminare sulle acque, ma piuttosto per stare con i piedi per terra e saperci muovere speditamente verso la meta finale della nostra esistenza. Sono le prove della vita, per Pietro la violenza del vento, a saggiare l'autenticità e la fermezza della nostra fede. Non possiamo esaurire la pratica religiosa facendo i cristiani della domenica. La fede deve diventare lampada ai nostri passi luce sul nostro cammino. Cala altrimenti il buio e con il buio anche il più leggero fruscio ci sembra tempestoso e genera in noi la paura. L'intervento di Gesù chiamato dalle fede e invocato dall'imminenza del pericolo, il «Signore, salvami!» di Pietro ci fa scoprire l'atteggiamento premuroso e provvido nei nostri confronti, anche quando la fede vacilla. «Sùbito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Quella mano tesa, quel dolce rimprovero generano la fede negli astanti più che il camminare di Gesù sulle acque. «Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
 
Guardiamo a tre azioni che Gesù compie nel Vangelo.
La prima. In pieno giorno, lascia: lascia la folla nel momento del successo, quand’era acclamato per aver moltiplicato i pani. E mentre i discepoli volevano godersi la gloria, subito li costringe ad andarsene e congeda la folla (cfr Mt 14,22-23). Cercato dalla gente, se ne va da solo; quando tutto era “in discesa”, sale sul monte a pregare. Poi, nel cuore della notte, scende dal monte e raggiunge i suoi camminando sulle acque agitate dal vento. In tutto Gesù va controcorrente: prima lascia il successo, poi la tranquillità. Ci insegna il coraggio di lasciare: lasciare il successo che gonfia il cuore e la tranquillità che addormenta l’anima.
Per andare dove? Verso Dio, pregando, e verso chi ha bisogno, amando. Sono i veri tesori della vita: Dio e il prossimo. Salire verso Dio e scendere verso i fratelli, ecco la rotta indicata da Gesù. Egli ci distoglie dal pascerci indisturbati nelle comode pianure della vita, dal vivacchiare oziosamente tra le piccole soddisfazioni quotidiane. I discepoli di Gesù non sono fatti per la prevedibile tranquillità di una vita normale. Come il Signore Gesù vivono il loro cammino, leggeri, pronti a lasciare le glorie del momento, attenti a non attaccarsi ai beni che passano. Il cristiano sa che la sua patria è altrove, sa di essere già ora – come ricorda l’Apostolo Paolo nella seconda Lettura – “concittadino dei santi e familiare di Dio” (cfr Ef 2,19). È un viandante agile dell’esistenza. Noi non viviamo per accumulare, la nostra gloria sta nel lasciare quel che passa per trattenere ciò che resta. Chiediamo a Dio di assomigliare alla Chiesa descritta nella prima Lettura: sempre in movimento, esperta nel lasciare e fedele nel servire (cfr At 28,11-14). Destaci, Signore, dalla calma oziosa, dalla quieta bonaccia dei nostri porti sicuri. Slegaci dagli ormeggi dell’autoreferenzialità che zavorra la vita, liberaci dalla ricerca dei nostri successi. Insegnaci Signore a saper lasciare per impostare la rotta della vita sulla tua: verso Dio e verso il prossimo.
 
La seconda azione: in piena notte Gesù rincuora. Va dai suoi, immersi nel buio, camminando «sul mare» (v. 25). In realtà si trattava di un lago, ma il mare, con la profondità delle sue oscurità sotterranee, evocava a quel tempo le forze del male. Gesù, in altre parole, va incontro ai suoi calpestando i nemici maligni dell’uomo. Ecco il significato di questo segno: non una manifestazione celebrativa di potenza, ma la rivelazione per noi della rassicurante certezza che Gesù, solo Lui, Gesù, vince i nostri grandi nemici: il diavolo, il peccato, la morte, la paura, la mondanità. Anche a noi oggi dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura» (v. 27).
La barca della nostra vita è spesso sballottata dalle onde e scossa dai venti, e quando le acque sono calme presto tornano ad agitarsi. Allora ce la prendiamo con le tempeste del momento, che sembrano i nostri unici problemi. Ma il problema non è la tempesta del momento, è in che modo navigare nella vita. Il segreto del navigare bene è invitare Gesù a bordo. Il timone della vita va dato a Lui, perché sia Lui a gestire la rotta. Solo Lui infatti dà vita nella morte e speranza nel dolore; solo Lui guarisce il cuore col perdono e libera dalla paura con la fiducia. Invitiamo oggi Gesù nella barca della vita. Come i discepoli sperimenteremo che con Lui a bordo i venti si calmano (cfr v. 32) e non si fa mai naufragio. Con Lui a bordo non si fa mai naufragio! Ed è solo con Gesù che diventiamo capaci anche noi di rincuorare. C’è grande bisogno di gente che sappia consolare, ma non con parole vuote, bensì con parole di vita, con gesti di vita. Nel nome di Gesù si dona vera consolazione. Non gli incoraggiamenti formali e scontati, ma la presenza di Gesù ristora. Rincuoraci, Signore: consolati da te, saremo veri consolatori per gli altri.
 
E terza azione di Gesù: nel mezzo della tempesta, tende la mano (cfr v. 31). Afferra Pietro che, impaurito, dubitava e, affondando, gridava: «Signore, salvami!» (v. 30). Possiamo metterci nei panni di Pietro: siamo gente di poca fede e siamo qui a mendicare la salvezza. Siamo poveri di vita vera e ci serve la mano tesa del Signore, che ci tiri fuori dal male. Questo è l’inizio della fede: svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi, e riconoscerci bisognosi di salvezza. La fede cresce in questo clima, un clima a cui ci si adatta stando insieme a quanti non si pongono sul piedistallo, ma hanno bisogno e chiedono aiuto. Per questo vivere la fede a contatto coi bisognosi è importante per tutti noi. Non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato, è un’esigenza teologica. È riconoscersi mendicanti di salvezza, fratelli e sorelle di tutti, ma specialmente dei poveri, prediletti dal Signore. Così attingiamo lo spirito del Vangelo: «lo spirito di povertà e d’amore – dice il Concilio – è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo» (Cost. Gaudium et spes, 88).
Gesù ha ascoltato il grido di Pietro. Chiediamo la grazia di ascoltare il grido di chi vive in acque burrascose. Il grido dei poveri: è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà. Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato. Ogni giorno è più forte quel grido, ma ogni giorno è meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi.
 
Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui. Presso Dio il grido dei poveri trova ascolto. Domando: e in noi? Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare, oppure ripetiamo quel “torna domani”? «Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli» (ibid.). Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità, malato e carcerato (cfr Mt 25,35-36).
Il Signore tende la mano: è un gesto gratuito, non dovuto. È così che si fa. Non siamo chiamati a fare del bene solo a chi ci vuole bene. Ricambiare è normale, ma Gesù chiede di andare oltre (cfr Mt 5,46): di dare a chi non ha da restituire, cioè di amare gratuitamente (cfr Lc 6,32-36). Guardiamo alle nostre giornate: tra le molte cose, facciamo qualcosa di gratuito, qualcosa per chi non ha da contraccambiare? Quella sarà la nostra mano tesa, la nostra vera ricchezza in cielo.
Tendi la mano a noi, Signore, afferraci. Aiutaci ad amare come ami tu. Insegnaci a lasciare ciò che passa, a rincuorare chi abbiamo accanto, a donare gratuitamente a chi è nel bisogno. Amen.
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6) Per un confronto personale
Nei momenti di buio e di tempesta interiore come reagisco? La presenza e l’assenza del Signore come si integrano in me? Quale posto ha in me la preghiera personale, il dialogo con Dio?
Cosa chiediamo al Signore nella notte oscura? Un miracolo che ci liberi? Una fede più grande? In quale atteggiamento rassomiglio a Pietro e Paolo?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 97
Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
 
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
 
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
 
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!