Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - sabato 7 novembre 2020

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  • sabato | 7 novembre 2020

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Lectio sabato 7 novembre 2020
 
 
Sabato della Trentunesima settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
 

Lettera ai Filippesi 4, 10 - 19
Luca 16, 9 - 15  
 
 
1) Preghiera 
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.
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2) Lettura: Lettera ai Filippesi 4, 10 - 19
Fratelli, ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l’avevate anche prima, ma non ne avete avuto l’occasione. 
Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza.
Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Lo sapete anche voi, Filippési, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedònia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
 
3) Riflessione  su Lettera ai Filippesi 4, 10 - 19
Ho provato grande gioia nel Signore (Fil 4,10) - Come vivere questa Parola?
Più volte, nella lettera ai Filippesi, torna il richiamo alla gioia: gioia di Paolo che si sente raggiunto e quasi avvolto dalla sollecitudine di questa comunità a lui particolarmente cara, invito alla gioia rivolto alla medesima.
Una gioia in cui si intrecciano motivi diversi ma che trova la sua piena consistenza in quel "nel Signore", di cui lo stesso Paolo dà, indirettamente la spiegazione. 
Egli si rallegra per il dono ricevuto, ma non tanto perché questo viene a sollevarlo dalle sue presenti strettezze dovute allo stato di prigionia in cui si trova, ma per quel legame di riconoscente affetto che lega la comunità alla sua persona di apostolo e che rimanda a Dio. 
È soprattutto la carità che esso rivela e che rende i Filippesi graditi agli occhi di Dio a farlo sussultare di gioia. La gratuità del dono non resta occulta al Datore di ogni bene che senz'altro non si lascerà vincere in generosità e li ricompenserà regalmente. 
Quanto è diversa questa gioia da quella che nasce e si esaurisce nell'appagamento immediato ed egoico di desideri e pulsioni personali! 
Una gioia centrata su noi stessi finisce col chiuderci nel guscio angusto del nostro io sempre in affannosa ricerca di gratificazioni che poi lasciano insoddisfatti. Ogni volta, infatti, che ci ritraiamo stringendo in pugno il frammento di gioia che ci viene offerto lo distruggiamo, mentre ogni volta che apriamo la mano per condividerlo lo vediamo rifrangersi intorno a noi. 
Non è più la piccola egoistica gioia da consumare all'ombra del nostro io a inondarci, ma quella che leggiamo nello sguardo di chi ci sta dicendo col suo dono: "ti voglio bene", quasi eco di un'altra voce che ci sta chiamando a un di più di vita: "Sono venuto perché la mia gioia sia in te e la tua gioia sia piena".
Ci accorgiamo allora che essa è solo un raggio che ci parla del Sole: il raggio può esaurirsi ma la sua Sorgente no, continuerà a scaldarci sempre.
È a questa gioia che vogliamo aprire il nostro cuore. Per questo, oggi ci esporremo al Sole di Dio e anche durante il tempo che dedichiamo ad altro cercheremo di mantenerci sotto di esso così da rifrangerne i raggi su quanti avviciniamo. 
Signore, sei venuto per la nostra gioia, e noi abbiamo ridotto la tua venuta a un richiamo serioso che a volte finisce col pesarci perché ha il sapore della croce. Se finalmente ci decidessimo a spostare lo sguardo dal legno della croce al tuo volto che ci dice senza ombra di equivoco: "Tu sei prezioso ai miei occhi ed io ti amo!", la nostra vita si trasformerebbe in un canto di gioia che non potrebbe che essere contagiosa. Signore, che noi inondiamo il mondo della tua gioia!
Ecco la voce di un dottore della Chiesa S. Agostino: Chi ci può dare così la gioia se non colui che ha creato tutte le cose che sono fonte di gioia?
 
«Fratelli, ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: …. So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, …. Tutto posso in colui che mi dà la forza». (Fil 4, 10-13) - Come vivere questa Parola?
Paolo, in questo brano conclusivo della lettera ai Filippesi della prima lettura odierna, che abbiamo scelto di commentare brevemente, ci spalanca la delicatezza del suo grande cuore di pastore, ma anche l'indomita fierezza del suo animo virile. Per sgomberare il campo della sua libertà interiore e del suo apostolato da ogni pretesto e intralcio, egli aveva adottato come norma generale di comportamento, di non accettare mai niente da nessuno e di procurarsi il necessario per vivere con il sudore delle proprie mani (1Cor 9,12; 15). 
Ora, nell'atto stesso di accettare - eccezionalmente - dai Filippesi le loro offerte di aiuto, più per il significato di amore che esse hanno, che per «bisogno» (v. 11), egli ci tiene a sottolineare ancora una volta la sua norma di condotta, affermando, con una punta di orgoglio personale, di essere stato «iniziato» a tutto, «alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza», in una parola a essere sempre «autosufficiente» (autàrkes) a se stesso. Dobbiamo però annotare che S. Paolo reclama questa sua autarchia non con l'ambiziosa autosufficienza degli stoici contemporanei (cfr. Seneca Ep. IX 11-12), ma perché la sua forza gli viene dal di dentro: «Tutto posso in colui che mi dà la forza». Il verbo usato qui da Paolo (en-dynamóo) esprime bene la forza interiore (dynamis) che gli proviene da Cristo e che lo rende capace di osare tutto! Ritorna anche qui quella «simbiosi» di Paolo con Cristo già riscontrata, per cui egli forma una cosa sola col «suo» Signore.
Si cita più sotto un testo di Ignazio di Antiochia che si avvicina molto a questo di Paolo e che ci fa intuire che questo grande Martire è stato un vero discepolo e imitatore dell'Apostolo.
In un momento di preghiera profonda, anche noi ripeteremo insistentemente a Gesù, l'Uomo Perfetto, le parole di Paolo e di Ignazio: "O Gesù, mio Signore, tutto io sopporto insieme con Te, che mi dai la forza interiore".
Ecco la voce di Ignazio di Antiochia (Lettera agli Smirnesi 4,2): «Per patire insieme con Lui (Cristo) io sopporto tutto, perché me ne dà la forza interiore (en-dynamóo) Lui, che è diventato l'uomo perfetto»
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4) Lettura: Vangelo secondo Luca 16, 9 - 15  
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».
 
 
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Luca 16, 9 - 15 
Il buon uso del denaro.
Quello che leggiamo oggi è la naturale e logica continuazione della parabola del fattore infedele di ieri. Riguarda particolarmente il buon uso del denaro. Ci dice innanzitutto che le ricchezze non sono di per sé cattive, ma dipende dall'uso che ne facciamo. È facile lasciarsi affascinare dalle molte ricchezze. Gesù dice: «Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». Ci ammonisce poi sulla fedeltà nell'uso dei beni che ci vengono affidati: «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto». Dobbiamo tener sempre presente la provenienza dei doni, la loro finalità e la loro preziosità. Dovrebbero essere il movente della nostra scrupolosa fedeltà nell'amministrarli. Noi non abbiamo nulla di nostro, tutto è dono, di tutto dobbiamo rendere conto, ogni appropriazione è indebita e peccaminosa. Ecco il motivo per cui difficilmente un ricco di beni terrestri e umani potrà trovare la via del Regno. «Hanno ricevuto la loro ricompensa», dice il Signore. Sappiamo però la caducità di quella ricompensa e la preziosità dei beni che si sono definitivamente persi. Si ritenevano ricchi ed erano avidi di denaro anche i farisei contemporanei di Gesù, ma egli così severamente li apostrofa: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio». Forse i ricchi di oggi come quelli di allora si beffano di tali minacce, ma la condanna non cambia. La condanna ultima è verso quella maledetta avidità che tante ansie e tanti guai ci procura. Si racconta che dopo la creazione il buon Dio si affaccia sul creato e si compiace di quanto ha fatto; quando poi fissa lo sguardo sulla terra l'angelo che lo affianca gli fa notare che gli uomini avevano inventato un loro Dio e che lo ritengono superiore allo stesso Creatore. «Che sarà mai?», chiede il Signore all'angelo. «È il Dio denaro», risponde l'angelo...
 
Così, quando il Signore parla delle vere ricchezze, non vuole cancellare la differenza fra quanto appartiene a noi e quanto, invece, appartiene agli altri. I beni degli altri non devono in alcun caso essere sottratti. La prospettiva escatologica è ricordata non perché nei nostri rapporti con le ricchezze terrene regni in certo qual modo l’arbitrario, ma perché il denaro può avere sull’uomo un potere fascinatorio. E il Vangelo di oggi in questo senso si rivela estremamente attuale. Il fascino che esercita il possesso materiale ha al giorno d’oggi una forza raramente raggiunta in passato. 
Ciò è probabilmente una conseguenza del nostro sistema economico, in cui alla mano d’opera corrisponde un costo preciso in denaro, e in cui si finisce per dare un valore maggiore alle cose materiali che all’attività e al sapere umano. Soltanto la prudenza ci potrà preservare dal pericolo di una nuova schiavitù. Senza contare che tutte le reti televisive, tutti gli altoparlanti spingono gli uomini a cedere a bisogni sempre nuovi e a cercarne soddisfazione con l’acquisto di beni materiali. Tale mercato stimola costantemente le nostre attitudini materialistiche. Una tendenza che, del resto, è confermata da teorie filosofiche tipo il “Sono ciò che possiedo” di Jean-Paul Sartre. 
I beni non vengono più subordinati alla persona. L’uomo che li possiede non è più totalmente libero, ma gli oggetti che egli possiede costituiscono il suo essere stesso. 
Non ci si deve allora stupire se anche i “grandi” comincino a vacillare. Fino ai governi occidentali, eletti democraticamente, che sono scossi da scandali e corruzione. Il mondo politico conosce sempre arricchimenti disonesti e repentini. E quando il privato perpetra una frode al fisco, ciò viene da molti considerato al massimo un delitto di gente onesta. 
 
• “Non potete servire a Dio e a mammona”. I continui errori dell’uomo moderno, che si ripercuotono su scala mondiale, giustificano pienamente l’avvertimento che il Signore ci dà, senza usare mezzi termini, riguardo il denaro. Perché il denaro è così pericoloso? Perché colui che se lo procaccia con successo si ritrova solo, con se stesso e con tutte le preoccupazioni che il suo denaro gli dà. È preoccupato delle porte che il denaro sembra aprirgli; pensa ad assicurazioni e conti in banca; il suo domani gli si presenta al sicuro da ogni problema. Gli piacerebbe poter dire a se stesso: “Hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (Lc 12,19). Ma Dio è ormai per lui un’idea priva di ogni importanza. Tutte le preoccupazioni e le gioie della sua esistenza non tengono più conto di Dio.
 
• Luca 16,9: Usare bene il denaro ingiusto. "Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. Nell’Antico Testamento, la parola più antica per indicare il povero è “ani” che significa impoverito. Viene dal verbo “ana”, cioè opprimere, ribassare. Questa affermazione evoca la parabola dell’amministratore disonesto, la cui ricchezza era iniqua, ingiusta. Qui appare il contesto delle comunità del tempo di Luca, cioè, degli anni 80 dopo Cristo. All’inizio le comunità cristiane sorsero tra i poveri (cf. 1Cor 1,26; Gal 2,10). Poco a poco ne entrarono a far parte persone più ricche. L’entrata dei ricchi portò con sé problemi che appaiono nei consigli dati nella lettera di Giacomo (Gi 2,1-6;5,1-6), nella lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 11,20-21) e nel vangelo di Luca (Lc 6,24). Questi problemi si aggravarono verso la fine del primo secolo, come attesta l’Apocalisse nella sua lettera alla comunità di Laodiceia (Ap 3,17-18). Le frasi di Gesù che Luca conserva sono un aiuto per chiarire e risolvere questo problema.
 
• Luca 16,10-12: Essere fedele nel piccolo e nel grande. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?” Questa frase chiarisce la parabola dell’amministratore disonesto. Lui non fu fedele. Per questo, fu tolto dall’amministrazione. Questa parola di Gesù suggerisce anche come dar vita al consiglio di farsi amici con il denaro ingiusto. Oggi avviene qualcosa di simile. Ci sono persone che parlano bene della liberazione, ma in casa opprimono la moglie e i figli. Sono infedeli nelle cose piccole. La liberazione comincia nel piccolo mondo della famiglia, della relazione giornaliera tra le persone.
 
• Luca 16,13: Voi non potete servire Dio e il denaro. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona". Ognuno di noi dovrà fare una scelta. Dovrà chiedersi: “Chi metto al primo posto nella mia vita: Dio o il denaro?” Al posto della parola denaro ognuno può mettere un’altra parola: macchina, impiego, prestigio, beni, casa, immagine, etc. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, ma di una scelta ben concreta di vita che comprende gli atteggiamenti.
 
• Luca 16,14-15: Critica dei farisei cui piace il denaro. “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”. In un’altra occasione Gesù menziona l’amore di alcuni farisei verso il denaro: “Voi sfruttate le vedove, e rubate nelle loro case e, in apparenza, fate lunghe preghiere” (Mt 23,14: Lc 20,47; Mc 12,40). Loro si lasciavano trascinare dalla saggezza del mondo, di cui Paolo dice: “Considerate, infatti, la vostra chiamata, fratelli; non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,26-28). Ad alcuni farisei piaceva il denaro, come oggi a alcuni sacerdoti piace il denaro. Vale per loro l’avvertimento di Gesù e di Paolo.
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6) Per un confronto personale
• Tu e il denaro? Che scelta fai?
• Fedele nel piccolo. Come parli del vangelo e come vivi il vangelo?
 
 
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 111
Beato l’uomo che teme il Signore.
 
Beato l’uomo che teme il Signore 
e trova grande gioia nei suoi comandamenti. 
Potente sulla terra sarà la sua stirpe, 
la discendenza dei giusti sarà benedetta. 
 
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito, 
amministra i suoi beni con giustizia. 
Egli non vacillerà in eterno:
 il giusto sarà sempre ricordato. 
 
Sicuro è il suo cuore, non teme;
 egli dona largamente ai poveri, 
la sua giustizia rimane per sempre,
 la sua potenza s’innalza nella gloria.