Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - mercoledì 4 novembre 2020

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  • mercoledì | 4 novembre 2020

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Lectio mercoledì 4 novembre 2020
 
Mercoledì della Trentunesima settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
San Carlo Borromeo

 
Lettera ai Filippesi 2, 12 - 18 
Luca 14, 25 - 33  
 
 
1) Preghiera 
Custodisci nel tuo popolo, o Padre, lo spirito che animò il vescovo san Carlo, perché la tua Chiesa si rinnovi incessantemente, e sempre più conforme al modello evangelico, manifesti al mondo il vero volto del Cristo Signore.
 
Un pastore buono è un dono eccellente per la Chiesa, come san Carlo è stato per la Chiesa di Milano e per tutta la Chiesa. Consacrato vescovo a soli 25 anni, questo giovane, vissuto negli agi e negli onori del suo rango, si diede tutto al servizio del suo popolo, profondendo ricchezze e salute, sostenendo fatiche e penitenze estreme, che certamente gli abbreviarono la vita. Propugnò con energia e pazienza l'applicazione del Concilio di Trento, con la costante preoccupazione di formare sacerdoti santi e pieni di zelo. 
L'amore di Gesù crocifisso era per lui modello e continuo sprone. "San Carlo è stato detto fu l'uomo della preghiera, delle lacrime, della penitenza intesa non come opera eroica ma come partecipazione misteriosa, appassionata alle sofferenze di Cristo, al suo entrare nel peccato del mondo, fin quasi allo scoppio del cuore e alla divisione dell'animo". 
Oggi preghiamo in modo speciale per il nostro papa, vero buon pastore intrepido e noncurante di sé, che moltiplica i viaggi, i discorsi, che accoglie tutti, che annuncia con coraggio e franchezza la verità del Vangelo in ogni circostanza e in ogni punto del mondo.
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2) Lettura: Lettera ai Filippesi 2, 12 - 18 
Miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore. È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. 
Così nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato. Ma, anche se io devo essere versato sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me.
 
3) Commento su  Lettera ai Filippesi  2, 12 - 18  
• "È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo il suo disegno di amore". (Fil 2, 13) - Come vivere questa Parola?
È impressionante come una riflessione così profonda sul fare, sull'agire emerga proprio in uno scritto elaborato in reclusione! Paolo, ancora giovane, probabilmente sta scontando una pena in una prigione di Efeso e non sa come andrà a finire. Intanto mantiene i rapporti con i suoi, anche attraverso la solidale e continua presenza degli amici di Filippi che non lo dimenticano, non lo abbandono in quella situazione. Infatti in questa lettera emerge l'affetto riconoscente di Paolo per queste persone ed egli, bloccato innaturalmente nel suo agire, ci offre anche una riflessione speciale sul valore dell'azione e delle opere nella nostra esperienza cristiana. Il conto di dare ed avere che i Filippesi hanno fatto per lui gli fa piacere. Non solo il loro ricordo e la loro preghiera. Ciò gli testimonia l'amore di comunione che in Dio condividono, dal quale sono legati in una fraternità che si traduce in azioni concrete, benefiche. L'affermazione della priorità dell'essere sul fare spesso porta a considerazione disincarnate che immaginano un essere incorporeo che vive di se stesso e disdegna l'opera delle mani dell'uomo e in generale il suo coinvolgimento di mente e cuore nelle cose di ogni giorno. In questa triste prospettiva l'impegno sociale, la solidarietà esplicita, l'educazione, il lavoro, la politica non sono o possono essere in modo debole forme di evangelizzazione perché la vita cristiana si definisce solo per la preghiera, il rispetto della morale cristiana e l'apologia dei suoi valori. Diatribe senza senso iniziate allora e che perdurano nel tempo, lungo un asse dialettico che oppone spirito e corpo, preghiera ed azione, supponendo un dualismo pericoloso.
Per Paolo le cose funzionano diversamente, l'incarnazione di Cristo ha rivoluzionato il culto, ridato senso e significato al corpo, tradotto la prossimità in gesti, parole che esprimono sentimenti. "Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù". Paolo vede che è Dio che suscita nel cuore dell'uomo la capacità di coniugare essere e fare e questo perché l'uomo con la sua vita esprima il volere di Dio, dia forma al disegno di amore di Dio, che ha intuito e accolto.
Signore, che hai iniziato in ciascuno di noi un'opera buona, fa' che le nostre energie la portino a compimento!
Ecco la voce di papa Francesco: La vita cristiana deve essere un dialogo con Gesù, perché - questo è vero - Gesù sempre è con noi, è sempre con i nostri problemi, con le nostre difficoltà, con le nostre opere buone.
 
Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. (Fil 2,15-16) - Come vivere questa Parola?
Abituati alle luci artificiali delle nostre città che non ci fanno più palpare il buio della notte, abbiamo anche perso la gioia di contemplare un cielo stellato. Ma basta allontanarsi dai centri abitati, salire magari su in montagna, lasciandosi prendere dal brivido di un buio che sembra acquistare una sua solidità, per restare affascinati da un trepidare di piccole luci che forano il cielo. Le senti vive, palpitanti amiche, profondamente diverse dalla fredda e impersonale luminosità delle nostre lampade.
Un'immagine che ci rimanda alle molte false luci con cui si cerca invano di diradare le tenebre in cui ci stiamo dibattendo. Luci che non scaldano, che non indicano rotte, che non rischiarano, anzi accecano...
Ci allineiamo con quanti si scagliano contro una società che li ha delusi oppure si accasciano inerti senza più nulla sperare? Ma questo non è cristiano! Chi crede è sempre con l'orecchio teso a cogliere nelle situazioni più svariate l'appello di un Dio-amore.
Ebbene, quanto più le tenebre sono fitte, tanto più è possibile accorgersi che in cielo brillano ancora le stelle, purché esse non si nascondano dietro nuvole nere... 
Gesù ci ha detto che siamo noi la luce del mondo, ma nessuna luce brilla per illuminare se stessa, bensì è per quelli che sono in casa. Ecco allora Paolo richiamarci a un dovere tanto più impellente quanto più fitte sono le tenebre: Risplendete come astri nel mondo, non di luce fittizia, artificiale, ma di quella luce che è la Parola di Dio, una Parola vivente, incarnata che noi dobbiamo rendere presente là dove viviamo.
Siamo un astro che splende o una luce artificiale, magari spenta? Lo chiediamo al Signore quest'oggi, con il desiderio di non venir meno alla missione che ci è stata affidata nel battesimo.
La luce vera sei tu, Signore. Ma hai voluto deporne una scintilla tra le nostre mani non perché la custodissimo nel chiuso della nostra casa con le finestre ben serrate, ma andassimo lungo le strade tenendola alta perché nessuno resti vittima delle tenebre o delle luci fatue che la società ci propone.
Ecco la voce del Papa Benedetto XVI: La storia cristiana è fatta di Santi. Santi nascosti, senza altari, devozioni né eroismi visibili, che però fanno luce con la loro bontà alle persone che incontrano.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Luca 14, 25 - 33  
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Luca 14, 25 - 33  
Il primato assoluto di Dio.
Per seguire Cristo bisogna spogliarsi di tutto. Per raggiungere la santità bisogna affermare in modo assoluto e radicale il primato di Dio nella nostra vita. Nessuno e nulla può prevalere su di lui: "Nulla dobbiamo anteporre all'amore di Cristo" dice San Benedetto ai suoi monaci. Fermo restando il comandamento che ci ricorda l'onore ai nostri genitori e famigliari, rimane sempre vero che neanche quell'amore può prevalere su quello che dobbiamo a Dio. La sequela di Cristo d'altronde comporta l'abbraccio volontario della croce e ciò nella realtà significa avere il coraggio di operare una serie di rinunce per fare spazio alla scelta migliore. "Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo". Se dobbiamo essere disposti a rinunciare anche alla nostra vita per Cristo, non ci deve scandalizzare la rinuncia anche agli affetti più cari. Con il dono della sapienza riusciamo a fare bene i conti per costruire la nostra torre, l'ascensore che ci conduce a Dio. La stessa sapienza, dono dello Spirito Santo, ci fa valutare l'opportunità di affrontare la buona battaglia per vincere le umane seduzioni e immergersi volontariamente e completamente in Dio. La rinuncia passa in ordine di importanza dalle persone alle cose. Ricordiamo tutti quel giovane ricco, che pur desideroso di raggiungere la vita eterna, non ha il coraggio di svincolarsi dalle cose del mondo perché "aveva molti beni". Succede ancora a molti... Ci conforta l'esempio dei santi e l'esperienza di tanti e tante che hanno davvero lasciato tutto per conseguire la migliore ricchezza, che solo Dio può e sa garantire. Ai nostri giorni la rinuncia definitiva della propria volontà risulta sempre più difficile perché si è indebolita la fede e l'uomo si è appropriato sempre di più dei doni di Dio.
 
• Luca 14,25: Esempio di catechesi. Il vangelo di oggi è un bell’esempio di come Luca trasforma le parole di Gesù in catechesi per la gente delle comunità. Lui dice: “Molta gente andava con lui. Gesù si voltò e disse”. Gesù parla a grandi folle, cioè parla a tutti, anche alle persone delle comunità del tempo di Luca e parla oggi per noi. Nell’insegnamento che segue Gesù pone le condizioni per colui che vuole essere suo discepolo.
 
• Luca 14,25-26: Prima condizione: odiare il padre e la madre. Alcuni attenuano la forza della parola odiare e traducono “preferire Gesù ai propri genitori”. Il testo originale usa l’espressione “odiare i genitori”. In un altro posto Gesù ordina di amare e di rispettare i genitori (Lc 18,20). Come spiegare questa contraddizione? Ma è una contraddizione? Al tempo di Gesù la situazione sociale e economica portava le famiglie a rinchiudersi in sé e impediva loro di compiere la legge del riscatto (goel), cioè di soccorrere i fratelli e le sorelle della comunità (clan) che erano minacciati di perdere la loro terra o di cadere nella schiavitù (cf. Dt 15,1-18; Lv 25,23-43). Chiuse in sé stesse, le famiglie indebolivano la vita in comunità. Gesù vuole ricostruire la vita in comunità. Per questo chiede di superare la visione ristretta della piccola famiglia che si chiude in se stessa e chiede alle famiglie di aprirsi e di unirsi tra loro in una grande famiglia, in comunità. Questo è il senso di odiare il padre e la madre, la moglie, i figli, le sorelle ed i fratelli. Gesù stesso, quando i genitori della sua piccola famiglia vogliono riportarlo a Nazaret, non risponde alla loro richiesta. Ignora o odia la loro richiesta ed allarga la famiglia dicendo: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,20-21.31-35). I vincoli familiari non possono impedire la formazione della Comunità. Questa è la prima condizione.
 
• Luca 14,27: Seconda condizione: portare la croce. “Chi non porta la croce e non viene dietro a me, non può essere discepolo mio”. Per capire bene la portata di questa seconda esigenza dobbiamo guardare il contesto in cui Luca colloca questa parola di Gesù. Gesù sta andando verso Gerusalemme per essere crocifisso e morire. Seguire Gesù e portare la croce dietro di lui significa andare con lui fino a Gerusalemme per essere crocifisso con lui. Ciò evoca l’atteggiamento delle donne che “lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Evoca anche la frase di Paolo nella lettera ai Galati: “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14).
 
• Luca 14,28-32: Due parabole. Le due hanno lo stesso obiettivo: fare in modo che le persone pensino bene prima di prendere una decisione. Nella prima parabola dice: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro!” Questa parabola non ha bisogno di spiegazione. Parla da sé: che ognuno rifletta bene sul suo modo di seguire Gesù e si chiede se valuta bene le condizioni prima di prendere la decisione di essere discepolo di Gesù.
 
La seconda parabola: “Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace”. Questa parabola ha lo stesso scopo della precedente. Alcuni chiedono: “Come mai Gesù si serve di un esempio di guerra?” La domanda è pertinente per noi che oggi conosciamo le guerre. La seconda guerra mondiale (1939 - 1945) causò la morte di ben 54 milioni di persone! In quel tempo, però, le guerre erano come la concorrenza commerciale tra le imprese di oggi che lottano tra di esse per ottenere maggiore guadagno.
 
• Luca 14,33: Conclusione per il discepolato. La conclusione è una sola: essere cristiano, seguire Gesù, è una cosa seria. Per molta gente, oggi, essere cristiano non è una scelta personale, e nemmeno una decisione di vita, ma un semplice fenomeno culturale. Non viene loro in mente di fare una scelta. Chi nasce brasiliano è brasiliano. Chi nasce giapponese è giapponese. Non deve scegliere. È nato e morirà così. Molta gente è cristiana perché nacque così e così è morta, senza aver mai avuto l’idea di scegliere e di assumere ciò che già è per nascita.
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6) Per un confronto personale
• Essere cristiano è una cosa seria. Devo calcolare bene il mio modo di seguire Gesù. Come avviene questo nella mia vita?
• “Odiare i genitori”, comunità o famiglia! Come combino le due cose? Sono capace di armonizzarle?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 26
Il Signore è mia luce e mia salvezza.
 
Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? 
Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.