Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - giovedì 1° ottobre 2020

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  • giovedì | 1 ottobre 2020

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Lectio giovedì 1 ottobre 2020
 
Giovedì della Ventiseiesima Settimana del tempo Ordinario (Anno A)
Santa Teresa di Gesù Bambino
 
Libro di Giobbe 19, 21 - 27
Luca 10, 1 – 12
 
 
1) Orazione iniziale
O Dio, nostro Padre, che apri le porte del tuo regno agli umili e ai piccoli, fa’ che seguiamo con serena fiducia la via tracciata da santa Teresa di Gesù Bambino, perché anche a noi si riveli la gloria del tuo volto.
 
Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant'anni modello di tutta la Chiesa. Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento. 
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall'orgoglio, quelli di Dio dall'umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge. 
Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte... il Signore le fece capire che c'è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l'abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. "Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre". ~ bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa. 
Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell'amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch'esso dono di Dio ed è tutt'altro che passività. Teresa fece di sé un'offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l'energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto. 
Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell'umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace.
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2) Lettura: Libro di Giobbe 19, 21 - 27
Giobbe disse: «Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso!
Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne?
Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
 
3) Commento sul  Libro di Giobbe  19, 21 - 27
Prima Giobbe chiede che venga fatta memoria di lui e dei suoi lamenti; si sta lamentando, ma ha paura che il tempo cancelli i suoi lamenti, che non ne rimanga nemmeno un segno, perché il tempo è fatto così, nasconde e copre tutta una serie di sofferenze, di miserie, che l’uomo ha vissuto e non ne rimane traccia nella memoria. “O se le mie parole si scrivessero e se si fissassero in un libro…!” Naturalmente è consolazione da poco che dopo la morte di Giobbe rimanga il ricordo delle sue sofferenze, potrà in qualche modo dare un barlume di consolazione, ma è appunto consolazione fragile. C’è qualcosa di più ed è l’esistenza di un vendicatore. Vendicatore è il tentativo di traduzione del termine ebraico Go’el dalla radice del verbo Go’el, che vuol dire “redimere”. Il Go’el, nell’esperienza di Israele, è quel parente prossimo che ha il diritto-dovere di riscattare una persona quando, per qualche motivo, essa cade in servitù. Quando una persona viene fatta prigioniera o schiava, il parente prossimo ha il diritto e il dovere di intervenire, di pagare per riportarlo alla libertà. Quindi il Go’el è un parente. C’è un legame di sangue, il legame di una solidarietà tribale all’interno di questo rapporto e tale legame si esprime concretamente in una serie di azioni di liberazione, per cui chi è in una condizione di oppressione, viene riportato alla pienezza di gioia e di libertà. “Io lo so che il mio vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!”.
 
Giobbe può contare su una solidarietà di sangue: ha anche lui un difensore, un redentore e sa che questo redentore ha, e avrà, l’ultima parola. Non è un redentore debole, che possa essere bloccato, nel suo impegno di redenzione, dalle circostanze o da altro! Questo redentore è un redentore efficace. E allora cosa spera?:
“Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso e i miei occhi lo contempleranno non da straniero.” Su questo molti commentatori hanno scritto e riscritto, chiedendosi se Giobbe pensi veramente ad una risurrezione dopo la morte o se stia pensando ad una specie di resurrezione provvisoria (come dice la nota della Bibbia di Gerusalemme): Giobbe dovrà morire, però il Signore gli farà una grazia speciale, quella di poter risorgere, per qualche istante, solo per vedere che la sua causa è giudicata con giustizia ed egli è riconosciuto come giusto.
 
Anche dentro alla miseria, alla condizione di mortalità Giobbe potrà vedere Dio, vederlo vuole dire sperimentare la presenza di Dio difensore. Quindi Giobbe si appella a Dio, non può appellarsi a nessun altro. E, stranamente, si appella a Lui, nonostante quello che pensa del Suo comportamento: a Giobbe il comportamento di Dio sembra ingiusto, ma in questa situazione Giobbe ha un unico difensore a cui appellarsi, Dio stesso, Dio solo. Se Giobbe potrà arrivare a vedere Dio (e tale è la sua speranza) questa sarà una consolazione sufficiente. Giobbe non sa che cosa comporterà il vedere Dio o come farà ad essere il suo difensore, il suo vendicatore, il suo:go’el, in che modo, con quali risultati, tutte queste cose Giobbe non le conosce, ma non importa… L’unica cosa che importa è che Dio sia il “Dio della mia vita”, che Dio sia il go’el, il difensore della mia vita, il risultato è secondario. Il cambiamento di sorte dal punto dal punto di vista sociologico, economico, dal punto di vista della salute, è importante, ma secondario. L’essenziale è che “i miei occhi lo contempleranno non da straniero”, non come un avversario, un lontano, ma come un parente prossimo, un go’el, come un vendicatore. Queste le tracce di speranza presenti nei discorsi di Giobbe.
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4) Lettura: dal Vangelo di   Luca 10, 1 - 12
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
 
5) Riflessione sul Vangelo di  Luca 10, 1 - 12
Due punti del Vangelo di oggi meritano un’attenzione particolare. “Il regno di Dio è vicino”. Si tratta del tema centrale della predicazione di Gesù; la maggior parte delle parabole di Gesù si fondano proprio sulla sua illustrazione. Eppure, Gesù non è venuto soltanto ad annunciare il regno di Dio, ma anche a realizzarlo: mediante il mistero pasquale, la passione e la risurrezione. Per annunciare e realizzare il regno di Dio, Gesù ha bisogno di collaboratori. Per questo dice ai suoi discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”. E manda settantadue discepoli per preparare il terreno annunciando che il regno è ormai prossimo. 
La vita della Chiesa del nostro secolo è caratterizzata dall’apostolato dei laici, attuato in forme diverse. In Croazia, fra i numerosi laici che si sono impegnati nell’apostolato, si segnala soprattutto il dIvan Merz (1896-1928), la cui causa di beatificazione è stata introdotta a Roma, apostolo della gioventù cattolica e promotore, fra i più importanti, del movimento liturgico in Croazia. Ecco qualche suo pensiero: “La fede cattolica è la vocazione della mia vita... Perché amo la Chiesa cattolica e il Santo Padre? Perché in essa vedo l’immagine splendente di Gesù Cristo nostro Salvatore con tutte le sue perfezioni, e nel Papa, dietro le sembianze umane, vedo il mio Dio e il mio Salvatore”. Il sapere che Gesù ha realizzato il regno di Dio sulla terra deve aiutarci a lavorare per la messe, così come fece il dMerz, testimone di Dio fra tanti altri.  
 
Inviati come agnelli in mezzo ai lupi.
Gesù allarga la schiera dei suoi seguaci. È ancora Lui a chiamarli. Affida loro il compito, già svolto dal Battista, di preparargli la strada nei luoghi dove intendeva recarsi a dare il suo annuncio di salvezza. Il mondo da evangelizzare è una messe abbondante, ma gli operai sono pochi. Il loro primo compito è quello di pregare il padrone della messe, il buon Dio, affinché mandi operai in numero adeguato alla vastità della messe. Gesù invita a chiedere il dono della chiamata, della vocazione speciale a consacrare in modo elusivo, la propria vita all’evangelizzazione. È un’intenzione di preghiera, suggerita dallo stesso Cristo, perciò è un sacrosanto dovere di tutta la Chiesa, di ogni fedele, impetrare questo dono per tanti giovani. Il fatto che Gesù invii i suoi come pecore in mezzo ai lupi potrebbe sembrare temerario e crudele. Noi sappiamo però, tutta la storia lo conferma, che sorretti dallo Spirito Santo, i suoi testimoni saranno sempre vincitori. Non hanno infatti verità proprie da annunciare o ideologie umane da sostenere e difendere. Essi portano un annuncio di liberazione e di amore e di pace universale, il messaggio stesso di Cristo, che ha potuto loro garantire, che insieme e persecuzioni, avranno un premio eterno. Alla sua Chiesa poi ha dato una garanzia di vittoria: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa». Le norme che poi Gesù detta ai suoi «missionari» riguardano, oltre quello primario di annunciare il Regno di Dio, la loro fiducia da riporre soltanto nella provvidenza divina, l’interiore libertà da umane preoccupazioni, l’umiltà nell’accettare eventuali rifiuti senza sgomentarsi per questo e la convinzione che l’avvento dell’umana ed universale liberazione è ormai imminente. Sarà il frutto della Croce e della risurrezione, ma si espanderà ancora per l’opera si tanti inviati, che sulla scia dei dodici e dei primi settantadue discepoli, andranno, sparsi per il mondo, che Dio ha liberato il suo popolo.
 
Tre brevi scene fanno comprendere al lettore il significato di seguire Gesù che va a Gerusalemme per essere tolto dal mondo. Nella prima viene presentato un uomo che desidera seguire Gesù dovunque egli vada; Gesù lo invita ad abbandonare tutto ciò che gli procura benessere e sicurezza. Coloro che vogliono seguirlo devono condividere il suo destino di nomade. Nella seconda è Gesù che prende l’iniziativa e chiama un uomo a cui è appena morto il padre. L’uomo chiede una dilazione della chiamata per ottemperare al suo dovere di seppellire il genitore.  L’urgenza di annunciare il regno supera questo dovere: la preoccupazione di seppellire i morti è inutile perché Gesù và oltre le porte della morte e lo compie anche per coloro che lo seguono. Nella terza scena, infine, viene presentato un uomo che si offre spontaneamente a seguire Gesù ma pone una condizione: salutare prima i suoi genitori. Entrare nel regno non ammette ritardi. Dopo questa triplice rinuncia l’espressione di Lc 9,62, «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio», introduce il tema del cap.10.
 
La dinamica del racconto. Il brano che è oggetto della nostra meditazione inizia con delle espressioni alquanto dense. La prima: dopo questi fatti, rimanda alla preghiera di Gesù e alla sua decisione ferma di andare a Gerusalemme. La seconda riguarda il verbo «designare»: «designò altri settantadue e li inviò…» (10,1), dove si precisa che li inviò davanti al suo volto, è lo stesso volto risoluto con cui s’incammina verso Gerusalemme. Le raccomandazioni che Gesù rivolge loro prima dell’invio sono un invito a essere consapevoli della realtà a cui sono mandati: messe abbondante in contrasto con il numero esiguo degli operai. Il Signore della messe arriva con tutta la sua forza ma la gioia di tale arrivo è ostacolata dal numero ridotto di operai.  Di qui l’invito categorico alla preghiera: «Pregate il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (v.2). 
 
L’iniziativa di inviare in missione è di competenza del Padre ma Gesù trasmette l’ordine: «Andate!» e poi indica le modalità da seguire (vv.4-11). Si inizia con l’equipaggiamento: né borsa, né sacco, né sandali. Elementi questi che connotano la fragilità di chi è inviato e la sua dipendenza dall’aiuto che riceve dal Signore e dagli abitanti della città. Le prescrizioni positive sono sintetizzate prima nell’accesso alla casa (vv.5-7) e poi nel successo in città (vv.8-11). In ambo i casi non è escluso il rifiuto. La casa è il primo luogo dove i missionari intrattengono i primi scambi, le prime relazioni, valorizzando i gesti umani del mangiare e del bere e del riposarsi come mediazioni semplici e ordinarie per comunicare il vangelo. La «pace» è il dono che precede la loro missione, vale a dire, pienezza di vita, e di relazioni; la gioia vera e reale è il segno che contraddistingue l’arrivo del Regno. Non bisogna cercare le comodità, è indispensabile essere accolti. La città diventa, invece, il campo più esteso della missione: in esso si svolge la vita, l’attività politica, le possibilità della conversione, dell’accoglienza o del rifiuto. A quest’ultimo aspetto è legato il gesto di togliere via la polvere (vv10-11), è come se i discepoli abbandonando la città che li ha rifiutati dicano agli abitanti di non essersi impossessati di nulla o potrebbe esprimere la cessazione delle relazioni. Infine, Gesù ricorda la colpevolezza di quella città che si sarà chiusa alla proclamazione del vangelo (v.12). 
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
• Ogni giorno sei inviato dal Signore ad annunciare il Vangelo ai tuoi intimi (la casa) e agli uomini (la città). Assumi uno stile povero, essenziale, nel testimoniare la tua identità di cristiano?
• Sei consapevole che il successo della tua testimonianza non dipende dalle tue capacità individuali ma solo dal Signore che manda e dalla tua disponibilità?
 
 
7) Preghiera: Salmo 26
Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». 
 
Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.