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- sabato | 8 agosto 2020
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Lectio sabato 8 agosto 2020
Sabato della Diciottesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
San Domenico
Profeta Abacuc 1, 12 - 2, 4
Matteo 17, 14 - 20
1) Preghiera
Guida e proteggi, Signore, la tua Chiesa per i meriti e gli insegnamenti di san Domenico: egli, che fu insigne predicatore della tua verità, interceda come nostro patrono davanti a te.
Domenico di Guzman (Caleruega, Spagna 1170 – Bologna, 6 agosto 1221) è, con Francesco d’Assisi, uno dei patriarchi della santità cristiana suscitati dallo Spirito in un tempo di grandi mutamenti storici. All’insorgere dell’eresia albigese si dedicò con grande zelo alla predicazione evangelica e alla difesa della fede nel sud della Francia. Per continuare ed espandere questo servizio apostolico in tutta la Chiesa, fondò a Tolosa (1215) l’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani). Ebbe una profonda conoscenza sapienziale del mistero di Dio e promosse, insieme all’approfondimento degli studi teologici, la preghiera popolare del rosario.
Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, il 6 agosto 1221 muore circondato dai suoi frati, nel suo amatissimo convento di Bologna, in una cella non sua, perché lui, il Fondatore, non l'aveva. Gregorio IX, a lui legato da una profonda amicizia, lo canonizzerà il 3 luglio 1234.
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2) Lettura: Profeta Abacuc 1, 12 - 2, 4
Non sei tu fin da principio, Signore, il mio Dio, il mio Santo? Noi non moriremo! Signore, tu lo hai scelto per far giustizia, l’hai reso forte, o Roccia, per punire. Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l’oppressione, perché, vedendo i perfidi, taci, mentre il malvagio ingoia chi è più giusto di lui? Tu tratti gli uomini come pesci del mare, come animali che strisciano e non hanno padrone. Egli li prende tutti all’amo, li pesca a strascico, li raccoglie nella rete, e contento ne gode. Perciò offre sacrifici alle sue sciabiche e brucia incenso alle sue reti, perché, grazie a loro, la sua parte è abbondante e il suo cibo succulento.
Continuerà dunque a sguainare la spada e a massacrare le nazioni senza pietà?
Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti. Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede».
3) Riflessione su Profeta Abacuc 1, 12 - 2, 4
• Oggi la liturgia mette a fuoco il rapporto tra fede e preghiera.
La fede è un atteggiamento vitale, che consiste nel fidarsi senza riserve di Dio. Cosa vuol dire? Essere certi che affidandosi a Lui, aprendosi alla sua azione, che posso vivere ogni situazione, anche di incertezza, di sofferenza, di calunnia, di gioia, di trionfo, di successo, in modo positivo, crescendo nel rapporto con Dio.
La preghiera non è un cercare di dire a Dio cosa deve fare, o per far cambiare atteggiamento a Dio, questo è insensato, ma la preghiera serve a noi per allargare lo spazio di ascolto e accoglienza, perché l'azione di Dio possa esprimersi in modo più ricco e più ampio attraverso di noi.
Per questo è importante allargare gli spazi della nostra fede, altrimenti incontriamo un ammalato che ha bisogno di forza di vita e non riusciamo a trasmettergliela, incontriamo uno che soffre e non riusciamo a consolarlo, incontriamo un peccatore che ha bisogno di misericordia e diventiamo rigidi, condanniamo, puntiamo il dito e non sappiamo perdonare. Cioè noi restringiamo la potenza di Dio con i nostri limiti.
• Il profeta Abacuc visse attorno al 600 a.C., un momento storicamente triste per Israele che sta per essere sconfitto dai Caldei, che si sono rivelati un autentico flagello per il loro imperialismo dispotico, violento e sprezzante nei confronti di Giuda e della comunità umana.
In tale contesto Abacuc si fa interprete del dramma che si abbatte sul popolo dell'alleanza e propone angosciate domande: Perché Dio non interviene a frenare la dilagante iniquità che invade il mondo? Perché non risponde all'ingiustizia palese e imperante e non apre bocca neppure quando a lui si leva il lamento addolorato dei suoi fedeli?
Il "fino a quando, Signore implorerò aiuto e non ascolti?", non va interpretato come una rassegnazione o una mancanza di fede nella potenza e nella grazia del suo Dio.
Tutto il suo libro attesta che il profeta non smarrisce mai la certezza rocciosa che il Signore tiene ben saldo il futuro nelle sue mani, che Egli è più grande di tutte le vicende che all'uomo possono sembrare senza senso.
Se venisse meno questa certezza, la vita dell'uomo cadrebbe nella disperazione.
Ciò che invece inquieta Abacuc è il fatto che il Signore indugi ancora, che resti spettatore, mentre il male dilaga (iniquità, oppressone, rapina, violenze, contese, liti) e vengono meno i capisaldi della giustizia. La risposta di Jahveh, che il profeta dichiara di aver atteso "come una sentinella in piedi sulla fortezza", non tarda a giungere.
Quantunque la situazione sia penosa e nulla per il momento lasci intravedere una salvezza imminente, tuttavia questa parola del Signore dischiude una assoluta fiducia, manifestata attraverso una serie di espressioni che necessitano di essere decodificate.
• "Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette" udire è importante per la fede di Israele, ma la dichiarazione scritta possiede sua natura di "impegnare" la parola del Signore e a suo tempo dimostrarne la veridicità.
"Se indugia, attendila", la risposta di Dio alle preghiere umane non è semplicemente un sì o un no, ma è un invito a restare in attesa.
La visione profetica, a motivo della sua origine divina, ha una potenzialità di sicuro compimento, che fa dire ad Abacuc: "certo verrà e non tarderà".
La potenza straniera dei Caldei "soccomberà", parola che allude al naufragio della vita, alla persecuzione e alla prigionia, all'esperienza della morte.
La parte di popolo che fa della fedeltà al patto con Jahweh, una ragione della propria vita e che nelle difficoltà continua ad avere fiducia, "vivrà", ossia avrà una vita piena.
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 17, 14 - 20
In quel tempo, si avvicinò a Gesù un uomo che gli si gettò in ginocchio e disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio! È epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e sovente nell’acqua. L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo». E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo qui da me». Gesù lo minacciò e il demonio uscì da lui, e da quel momento il ragazzo fu guarito.
Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli rispose loro: «Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile».
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 17, 14 - 20
• Il nostro brano presenta Gesù nella sua attività di guarire. Dopo aver soggiornato con i soli discepoli nella regione di Cesarea di Filippo (16,13-28) Gesù sale su una montagna elevata e viene trasfigurato davanti a tre discepoli (17,1-10); poi raggiunge la folla (17,14-21) tenta un nuovo approccio con la Galilea per riguadagnarla (7,22). Cosa pensare di questi spostamenti geografici di Gesù? Non si esclude che abbiano potuto avere un tenore geografico, ma a Matteo preme presentare la loro funzione di itinerario spirituale. Nel suo cammino di fede la comunità è sempre chiamata a ripercorrere quell’itinerario spirituale che ha segnato la vita di Gesù: dalla Galilea della sua attività pubblica e da quest’ultima alla sua resurrezione attraverso il cammino della croce. Un itinerario spirituale in cui la potenza della fede gioca un ruolo essenziale.
• La forza della fede.
"Nulla è impossibile a Dio": Egli è l'onnipotente, il suo stesso pensiero è in sé creativo. A chi agisce nel suo nome viene dato il potere di compiere le sue stesse opere. Egli ha promesso che chi crede in Lui farà anch'egli le opere che lui fa; anzi ne farà di più grandi di queste. In questo contesto comprendiamo la delusione e l'amarezza di Gesù sentendo dire da un padre che implora la guarigione del figlio malato: "L''ho portato dai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo". Deve costatare di avere a che fare con una generazione incredula e perversa e con discepoli ai quali deve dire di non aver potuto scacciare quel demonio "per la loro poca fede". È significativo che Gesù non chiede ai suoi e a noi una fede eroica, ma ci dice semplicemente: «se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: "Spòstati da qui a là", ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile». Dobbiamo ricordarci però che i doni di Dio, e la fede è sicuramente uno dei più importanti, sono conservati in vasi di argilla e sono simili alle lampade delle vergini che attendono l'arrivo dello sposo nel cuore della notte: devono essere opportunamente alimentate e con prudenza bisogna conservare sempre una scorta di olio. Ciò significa concretamente: la pratica della vita cristiana, la frequente partecipazione ai sacramenti, le opere buone, la carità fraterna. Ricordiamoci sempre il primo dei comandamenti: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze." Così quel granellino di fede potrà germogliare anche in ciascuno di noi, anzi, crescere e fruttificare.
• Potenza della fede. Gesù, dopo la sua trasfigurazione, con la sua piccola comunità dei discepoli ritorna dalla folla, prima di ritornare in Galilea (v.22) e giungere a Cafàrnao (v.24). E mentre si trova in mezzo alla folla un uomo si avvicina a lui e lo supplica con insistenza per intervenire sul male che tiene imprigionato suo figlio. La descrizione che precede l’intervento di Gesù davvero precisa: si tratta di un caso di epilessia con tutte le sue conseguenze patologiche a livello psichico. Al tempo di Gesù questo tipo di malattia veniva fatto risalire a forze maligne e precisamente all’azione di Satana, nemico di Dio e dell’uomo, e pertanto origine del male e di tutti i mali. Dinanzi a un tale caso in cui emergono forze maligne di gran lunga superiori alle capacità umane i discepoli si scoprono impotenti a guarire il fanciullo (vv.16-19) e a motivo della loro poca fede (v.20). Per l’evangelista, questo giovane epilettico è simbolo di coloro che svalutano la potenza della fede (v.20), che non sono attenti alla presenza di Dio in mezzo a loro (v.17).
• La presenza di Dio in Gesù, che è l’Emmanuele, non viene riconosciuta; anzi il capire qualcosa di Gesù non è sufficiente, è necessaria la vera fede. Gesù. Dopo aver rimproverato la folla, si fa condurre il ragazzo: «Portatemelo qui» (v.17); lo guarisce e lo libera nel momento in cui sgrida il demonio. Non basta il miracolo della guarigione di una singola persona, è necessario anche guarire la fede incerta e debole dei discepoli. Gesù si avvicina a loro che sono confusi o storditi per la loro impotenza: «Perché non abbiamo potuto gettarlo fuori?» (v.20). La risposta di Gesù è chiara: «Per la vostra vacillante fede». Gesù chiede una fede capace di spostare le montagne del proprio cuore per identificarsi con la sua persona, la sua missione, la sua forza divina. È vero che i discepoli hanno abbandonato tutto per seguire Gesù ma non sono riusciti a guarire il ragazzo epilettico a motivo della «poca fede». Non si tratta di mancanza di fede, solo che è debole, vacillante per i dubbi, con una predominanza di sfiducia e dubbi. È una fede che non si radica totalmente nella relazione con Cristo. Gesù eccede nel linguaggio quando dice: «se avete fede pari a un granello di senapa» potete spostare le montagne; è un’esortazione a lasciarsi guidare nelle azioni dalla potenza della fede, che diventa forte soprattutto nei momenti di prova e di sofferenza e raggiunge la maturità quando non si scandalizza più dello scandalo della croce. La fede può tutto, purché si rinunce a fare affidamento alle proprie capacità umane, può spostare le montagne. I discepoli, la comunità primitiva hanno sperimentato che l’incredulità non si vince con la preghiera e il digiuno ma è necessario unirsi alla morte e resurrezione di Gesù.
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6) Per un confronto personale
• Attraverso la meditazione del brano abbiamo osservato come i discepoli si collocano in rapporto all’epilettico e a Gesù stesso. Vi scopri anche il tuo cammino relazionale con Gesù e con gli altri ricorrendo alla potenza della fede?
• Sulla croce Gesù dà testimonianza al Padre e lo rivela totalmente. La parola di Gesù che hai meditato ti chiede l’adesione totale: ti senti ogni giorno impegnato a spostare le montagne del cuore che si frappongono tra il tuo egoismo e la volontà di Dio?
7) Preghiera finale: Salmo 9
Tu non abbandoni chi ti cerca, Signore.
Il Signore siede in eterno,
stabilisce il suo trono per il giudizio:
governerà il mondo con giustizia,
giudicherà i popoli con rettitudine.
Il Signore sarà un rifugio per l’oppresso,
un rifugio nei momenti di angoscia.
Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché tu non abbandoni chi ti cerca, Signore.
Cantate inni al Signore, che abita in Sion,
narrate le sue imprese tra i popoli,
perché egli chiede conto del sangue versato,
se ne ricorda, non dimentica il grido dei poveri.