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- venerdì | 7 agosto 2020
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Lectio venerdì 7 agosto 2020
Venerdì della Diciottesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
Profeta Naum 2, 1.3; 3, 1-3.6-7
Matteo 16, 24 - 28
1) Preghiera
Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l’opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato.
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2) Lettura: Profeta Naum 2, 1.3; 3, 1-3.6-7
Ecco sui monti i passi d’un messaggero che annuncia la pace! Celebra le tue feste, Giuda, sciogli i tuoi voti, poiché il malvagio non passerà più su di te: egli è del tutto annientato.
Infatti il Signore restaura il vanto di Giacobbe, rinnova il vanto d’Israele, anche se i briganti li hanno depredati e saccheggiano i loro tralci. Guai alla città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine, che non cessa di depredare! Sìbilo di frusta, fracasso di ruote, scalpitìo di cavalli, cigolìo di carri, cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade, scintillare di lance, feriti in quantità, cumuli di morti, cadaveri senza fine, s’inciampa nei cadaveri. «Ti getterò addosso immondizie, ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio. Allora chiunque ti vedrà, fuggirà da te e dirà: “Nìnive è distrutta! Chi la compiangerà? Dove cercherò chi la consoli?”».
3) Riflessione su Profeta Naum 2, 1.3; 3 , 1-3.6-7
• Libro del Profeta Naum è un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e cristiana, scritto in ebraico durante il Regno di Giuda in un periodo tra il 663 e 612 a.C.
Il breve libro è composto da soli 3 capitoli e contiene diversi oracoli contenenti in particolare profezie sulla conquista e distruzione di Ninive.
Naum, il cui nome significa “Dio consola”, è uno dei 12 profeti minori, e scrive dopo la caduta del Regno Assiro, intorno alla seconda metà del secolo VII a.C.
Usa un linguaggio forte, colmo di immagini violente, chiama alla giustizia di vendetta. Pur senza compiacersi della distruzione del nemico: il giudizio sul male e sulla corruzione spetta soltanto a Dio che si rivela “lento all’ira, ma grande nella potenza e nulla lascia impunito”.
La sua profezia, nel contesto storico concreta, attesta gli eventi accaduti verso la seconda metà del secolo VII a.C.: gli Assiri avevano distrutto crudelmente tutti coloro che non si fossero sottomessi al loro dominio violento, come la città di Tebe.
In 3,8-10, con parole concise, vibranti, ricche di poesia, il Profeta evoca, rendendola quasi presente, l’assalto della città distrutta, compreso il panico e i lamenti….
Gli Oracoli di Naum sono rivolti contro le potenze violente e nemiche del popolo di Dio, ma anche in maniera chiara e minacciosa, ai re d’Israele perché non si arrendano a queste potenze. Egli mette in guardia il re di Giuda, successore del mite Ezechia, a non cedere, per timore dell’alto assiro, alla politica pagana filo assira (1,9-13).
• Dinanzi a tanta distruzione, il Profeta s’interroga sulla giustizia di Dio che deve porre fine al male che dilaga, sull’esercizio del potere da parte di coloro che lo detengono: nessuna persona umana è arbitro del proprio o dell’altrui destino. Al contrario, ognuno è portato a seguire la strada che Dio indica ed a comportarsi secondo la sua giustizia, che è diversa da quella umana.
Naum, scrivendo a fatti avvenuti, dopo la caduta dell’Assiria, testimonia, anche, che, come profeta, non prevede né indovina il futuro per magia e per capacità propria: riflette sul presente alla luce della fede in Dio e nella certezza che Egli non si allontana dal popolo che ha scelto promettendogli la sua fedeltà. Anche nella difficoltà e nel castigo, Dio si prende cura del suo popolo al fine di portare salvezza “a tutti i popoli”: “Il Signore è lento all’ira, ma grande nella potenza e nulla lascia impunito… Buono è il Signore, un asilo sicuro, nel giorno dell’angoscia. Si prende cura di chi in lui si rifugia, anche quando l’inondazione avanza (1,3.7).
• Naum, nonostante il linguaggio molto duro, è profeta che si apre sulla speranza, conduce per mano a comprendere quella che sarà la straordinaria novità cristiana: si fa testimone della giustizia di Dio misericordiosa, scandalosa nel dolore e nella prova, ma che “sazia coloro che hanno fame e sete di giustizia” (Mt 5,6) ed è presente anche quando sembra Dio essere lontano o silenzioso (Mc 4,35-41).
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 16, 24 - 28
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno».
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 16, 24 - 28
• Salvare o perdere la vita…
La «sequela» è un elemento essenziale in tutte le religioni. Implica non solo il seguire materialmente un maestro, un «gurù», un sapiente, ma soprattutto comporta l'imitazione e poi la testimonianza. I veri maestri infatti sono portatori di una dottrina e loro compito è quello di farla conoscere e poi tramandarla nei secoli futuri. Gesù oggi in modo molto breve, ma con espressioni dense di profondi significati detta le regole, le condizioni per essere suoi veri discepoli. Li sintetizza così: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Il rinnegamento di sé significa l'interiore predisposizione a rinunciare alle proprie convinzioni per abbracciare incondizionatamente quelle del maestro. È la prima condizione. Si tratta poi di prendere la croce: per noi credenti è il peso del ritorno a Dio dopo la disavventura del peccato, diventare capaci di non tanto di soffrire le inevitabili contrarietà della vita, ma ancor più di offrirle come motivo e prezzo di espiazione e di partecipazione alle sofferenze redentive del nostro divino maestro. Ci dice poi il Signore Gesù che dalla sequela come Egli ce la propone dipende la nostra salvezza eterna. Mettere la nostra esistenza al servizio di Dio significa garantirsi la salvezza. Al contrario pretendere di salvarci di nostra iniziativa significa incorrere in un tragico fallimento. Gesù lo afferma così: «Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». E così motiva la sua verità: «Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?». Questa è una convinzione che non ci dovrebbe abbandonare mai.
• Matteo 16,24: Prenda la sua croce e mi segua. Gesù trae le conclusioni che valgono fino ad oggi: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. In quel tempo, la croce era la pena di morte che l’impero romano infliggeva agli emarginati e ai banditi. Prendere la croce e caricarla dietro Gesù era lo stesso che accettare di essere emarginati dal sistema ingiusto che legittimava l’ingiustizia. La Croce non è fatalismo, né esigenza del Padre. La Croce è la conseguenza dell’impegno liberamente assunto da Gesù per rivelare la Buona Notizia che Gesù è Padre e che, quindi, tutti e tutte dobbiamo essere accettati e trattati da fratelli e sorelle. A causa di questo annuncio rivoluzionario, Gesù fu perseguitato e non ebbe paura di dare la sua vita. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici (Gv 15,13). La testimonianza di Paolo nella lettera ai Galati indica la portata concreta di tutto ciò: “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. (Gal 6,14) E termina alludendo alle cicatrici delle torture da lui sofferte: “D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6,17).
• Matteo 16,25-26: Chi perde la vita per causa mia la troverà. Questi due versi esplicitano valori umani universali che confermano l’esperienza di molti cristiani e non cristiani. Salvare la vita, perdere la vita, trovare la vita. L’esperienza di molti è la seguente: Chi vive dietro beni e ricchezze, non è mai sazio. Chi si dona agli altri, dimentica di sé, sente una grande felicità. È l’esperienza delle madri che si donano, e di tanta gente che non pensano a sé, ma agli altri. Molti fanno e vivono così quasi per istinto, come qualcosa che viene dal fondo dell’anima. Altri agiscono così perché hanno avuto un’esperienza dolorosa di frustrazione che li ha portati a cambiare atteggiamento. Gesù ha ragione nel dire: “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Importante è il motivo: “per causa mia”, o come dice Marco: “per causa del Vangelo” (Mc 8,35). E termina dicendo: “Che giova, infatti, all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?” Questa ultima frase evoca il salmo dove si dice che nessuno è capace di pagare il prezzo di riscatto della vita: “Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba” (Sal 49,8-10).
• Matteo 16,27-28: Il Figlio dell’Uomo darà a ciascuno secondo la sua condotta. Questi due versi si riferiscono alla speranza riguardo alla venuta del Figlio dell’Uomo negli ultimi tempi, quale giudice dell’umanità, come è presentato nella visione del profeta Daniele (Dan 7,13-14). Il primo verso dice: “Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni” (Mt 16,27). In questa frase si parla della giustizia del Giudice. Ognuno riceverà secondo la propria condotta. Il secondo verso dice: “Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo Regno” (Mt 16,28). Questa frase è un avviso per aiutare a percepire la venuta di Gesù, Giudice, nei fatti della vita. Alcuni pensavano che Gesù sarebbe venuto dopo (1Ts 4,15-18). Ma Gesù, di fatto, era già presente nelle persone, soprattutto nei poveri. Ma loro non lo percepivano, Gesù stesso aveva detto: “Ogni volta che avete aiutato il povero, l’infermo, il senza tetto, il carcerato, il pellegrino, ero io!” (cf. Mt 25,34-45).
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6) Per un confronto personale
• Chi perde la vita, la trova. Qual è l’esperienza che ho al riguardo?
• Le parole di Paolo: “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. Ho il coraggio di ripeterle nella mia vita?
7) Preghiera finale: Deuteronomio 32, 35 - 41
Il Signore farà giustizia al suo popolo.
Sì, vicino è il giorno della loro rovina
e il loro destino si affretta a venire.
Perché il Signore farà giustizia al suo popolo
e dei suoi servi avrà compassione.
Ora vedete che io, io lo sono e nessun altro è dio accanto a me.
Sono io che do la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco.
Quando avrò affilato la folgore della mia spada
e la mia mano inizierà il giudizio,
farò vendetta dei miei avversari,
ripagherò i miei nemici.