Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - sabato 13 giugno 2020

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  • sabato | 13 giugno 2020

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Lectio sabato 13 giugno 2020

 
Sabato della Decima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
Sant’Antonio da Padova
 

1 Libro dei Re 19, 19 - 21
Matteo 5, 33 - 37  
 
 
1) Preghiera 
Dio onnipotente ed eterno, che in sant’Antonio di Padova, hai dato al tuo popolo un insigne predicatore e un patrono dei poveri e dei sofferenti, fa’ che per sua intercessione seguiamo gli insegnamenti del Vangelo e sperimentiamo nella prova il soccorso della tua misericordia. 
 
Lo Spirito era su Antonio di Padova, che ha portato il lieto annuncio, il Vangelo, ai poveri con un successo straordinario. E ha fasciato le piaghe dei cuori spezzati, ha annunciato la liberazione dei prigionieri, in modo così luminoso, così straordinario, che è stato canonizzato dopo un solo anno dalla sua morte. È una cosa che oggi sarebbe impossibile, ma che dice bene quanto profonda fosse la venerazione del popolo cristiano.
Nella vita di sant'Antonio possiamo constatare una vera liberazione operata dallo Spirito. Antonio avrebbe potuto essere grandemente deluso, depresso, perché tutti i suoi progetti sono stati scombussolati. Voleva essere missionario, voleva perfino morire martire e proprio per questo si era imbarcato per andare fra i musulmani. Ma il suo viaggio non raggiunse la meta: invece di sbarcare nei paesi arabi fu sbarcato fra i cristiani, in Sicilia e poi rimase in Italia. 
Avrebbe potuto passare il resto della sua vita a compiangere se stesso: "Non posso realizzare la mia vocazione! ". E invece fiori dove il Signore lo aveva inaspettatamente piantato: cominciò subito a predicare, a fare il bene che poteva, e acquistò una fama straordinaria. 
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2) Lettura: 1 Libro dei Re 19, 19 - 21
In quei giorni, Elìa, [disceso dal monte di Dio, l’Oreb] trovò Elisèo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te». Allontanatosi da lui, Elisèo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.
 
3) Riflessione su 1 Libro dei Re 19, 19 - 21
Va' e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te. - Come vivere questa Parola?
La prima lettura della liturgia di oggi ci presenta la chiamata di Eliseo, figlio di Safat, profeta e testimone fedele di Dio per il popolo d'Israele.
Dio si serve di Elia per portare la Sua parola a Eliseo: "Ungerai Eliseo figlio di Safat, di Abel-Mecola come profeta al tuo posto". Elia prepara Eliseo, però è Dio che lo chiama e lo rende suo testimone. Ognuno di noi è un 'chiamato'. Dio ci ha chiamato all'esistenza per godere l'Amore Trinitario, per essere suoi figli per sempre. Questa è la Promessa che in Gesù si è fatta realtà attraverso la sua vita, morte e risurrezione. È una promessa piena di speranza e di gioia, diventa nostra se vi aderiamo e la accettiamo con serietà e responsabilità. La mia adesione o meno a questa Promessa avrà poi conseguenze per l'eternità. L'adesione esige conoscenza profonda del messaggio di Gesù, esige 'consuetudine” con Lui, capacità di 'seguirlo' e di 'sostare' alla Sua Presenza. 
 
E oggi non è forse molto facile data una certa tendenza a vivere 'l'attimo fuggente', 'annegati nel presente', senza un futuro a cui guardare che dia significato alla propria esistenza. Tuttavia, Dio continua a chiamare servendosi spesso dei fratelli: dei loro bisogni, dei loro consigli, della loro testimonianza! Bisogna essere 'svegli e attenti' per coglierne i segni.
La risposta alla chiamata di Dio richiede sincerità di cuore: si alimenta nel contatto frequente con Gesù attraverso la Lectio Divina e l'Eucaristia, è qui che Egli ci farà conoscere il Padre e il suo disegno su di noi.
Oggi, nella pausa di silenzio che ci concediamo, riflettiamo sulla nostra chiamata per apprezzarla e entusiasmarci del nostro essere davvero figli di Dio. Chiediamo al Signore di suscitare in noi il desiderio di approfondire sempre di più la conoscenza di Lui.
Preghiamo con il Salmo 15 (16): "A Te solo, Signore, affido la mia vita".
Ecco la voce di un grande monaco Thomas Merton: Noi abbiamo ricevuto già tutto da Cristo. Adesso bisogna fare esperienza di ciò che già possediamo. L'Amore di Dio per ognuno di noi, ci invita a trovarlo dappertutto, nelle Scritture, nella natura, nel nostro cuore, nei doveri quotidiani, nella solitudine.
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 5, 33 - 37  
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 5, 33 - 37  
Nel vangelo di oggi, Gesù rilegge il comandamento: “Non spergiurare”. E anche qui supera la lettera, cerca lo spirito della legge e cerca di indicare l’obiettivo ultimo di questo comandamento: raggiungere la trasparenza totale nel rapporto tra persone. Qui vale applicare ciò che abbiamo detto riguardo ai due comandamenti “Non uccidere” e “Non commettere adulterio”. Si tratta di un modo nuovo di interpretare e situare nella pratica la Legge di Mosè, partendo dalla nuova esperienza di Dio Padre/Madre che Gesù ci porta. Lui rilegge la legge partendo dall’intenzione che Dio aveva nel proclamarla, secoli addietro, sul Monte Sinai.
 
“Io vi dico: non giurate mai”.
L’ottavo comandamento del Decalogo esige veridicità e lealtà con il prossimo. Nelle parole di Gesù tale esigenza è sottolineata con la proibizione assoluta dei giuramenti. “Non giurare neppure sulla tua testa, egli dice, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì, no, no; il di più viene dal maligno”. Meraviglioso consiglio, che nel pensiero di Gesù non è certo solo un modo di esprimersi, ma un vero e proprio modo di vita. Evitare la doppiezza per sistema. Evitare la finzione. L’espressione di Gesù: “non giurare neppure sulla tua testa”, è veramente sconcertante, e da parte nostra alquanto incosciente. Dio è padrone della tua vita, ha contato tutti i capelli del tuo capo e ti ha fatto così come sei. Come si può offrire in pegno qualcosa di cui non si può affatto disporre? Non arriviamo forse anche noi a espressioni forti, come “per la mia vita”, “non possa più vedere i miei?” ed altro. Il nostro linguaggio dovrebbe essere sostenuto esclusivamente dalla semplicità e dalla serietà della nostra vita, senza ricorrere a formule religiose, implicanti l’onore di Dio per far passare quanto si vuole asserire. “Il vostro parlare sia sì, no”. Le nostre parole devono esprimere veramente quello che pensiamo. Ciò vale anzitutto davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini, di cui Dio stesso prende le difese. Gesù non vuole darci una norma etica, alquanto sapienziale, ma metterci davanti a Dio Padre sulla stessa sua linea. San Paolo dice: “Gesù Cristo non fu sì e no, ma in lui c’è stato il sì, e tutte le promesse di Dio in lui sono diventate sì”. Il nostro Maestro vede all’opera anche il grande avversario dell’uomo, il maligno. Il giocare con l’onore di Dio, non è soltanto una semplice mancanza, ma una vera opposizione alla sua verità.
 
• Matteo 5,33: Fu detto agli antichi: non spergiurare. Le legge dell’AT diceva: “Non spergiurare”. E aggiungeva che la persona deve giurare per il Signore (cf. Nm 30,2). Nella preghiera dei salmi si dice che può salire sul monte di Yavè e giungere al luogo santo “colui che ha le mani innocenti ed il cuore puro, che non confida negli idoli, non fa giuramento per ingannare" (Sal 24,4). Lo stesso si dice in diversi altri punti dell’AT (Eccle 5,3-4), perché ci si deve poter fidare delle parole dell’altro. Per favorire questa fiducia reciproca, la tradizione aveva inventato l’aiuto del giuramento. Per dare forza alla propria parola, la persona giurava per qualcuno o per qualcosa che era più grande di lui e che avrebbe potuto castigarla se non compiva ciò che aveva promesso. Le cose continuano così fino ad oggi. Sia nella Chiesa come nella società, ci sono momenti ed occasioni che esigono giuramenti solenni da parte delle persone. In fondo, il giuramento, è l’espressione della convinzione secondo cui nessuno può fidarsi completamente della parola dell’altro.
 
• Matteo 5,34-36: Ma io vi dico: non giurate affatto. Gesù vuole sanare questa deficienza. Non basta “non spergiurare”. Lui va oltre ed afferma: “Ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Giuravano per il cielo e per la terra, per la città di Gerusalemme, per la propria testa. Gesù mostra che tutto ciò è medicina che non guarisce il dolore della mancanza di trasparenze nel rapporto tra le persone. Qual è la soluzione che propone?
 
• Matteo 5,37: Il vostro parlare sì, sì; no, no. La soluzione che Gesù propone è questa: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Lui propone un’onestà radicale e totale. Nient’altro. Ciò che tu dici in più, viene dal Maligno. Qui, di nuovo, siamo confrontati ad un obiettivo che rimarrà sempre nella nostra mente e che mai giungeremo a compiere completamente. È un’altra espressione del nuovo ideale di giustizia che Gesù propone: “essere perfetto come il Padre del cielo è perfetto” (Mt 5,48). Gesù sradica qualsiasi tentativo di creare in noi la convinzione che ci salviamo perché osserviamo la legge. Nessuno può meritare la grazia di Dio. Perché altrimenti non sarebbe grazia. Osserviamo la Legge, non per meritare la salvezza, ma per ringraziare di cuore l’immensa bontà gratuita di Dio che ci accoglie, perdona e salva senza merito da parte nostra.
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6) Per un confronto personale
• Come osservo la legge?
• Ho sperimentato qualche volta nella vita la bontà gratuita di Dio?