Dal 1861 ad oggi

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Vita nel monastero dal 1861 ai giorni nostri

di Paolo Sgroia e Giuseppe Barra

 

In applicazione al Regio Decreto del 17 febbraio 1861 (articolo 10), il monastero è soppresso ma le monache non abbandonano il luogo. L’edificio passa impropriamente alla Cassa Ecclesiastica di Napoli, detta comunemente “Fondo Culto”. In realtà il monastero è di proprietà del Comune, che n’è venuto in possesso quando lo stesso è stato soppresso con le leggi eversive napoleoniche.

Nel 1863, quando è notificata la soppressione, il sindaco Gerardo Romano Cesareo protesta contro il “Fondo Culto”, facendo presente appunto che il monastero è di proprietà del Comune.

L’ordine di soppressione diviene esecutivo in base alla legge del 7 luglio 1866, il locale passa al Fondo Culto insieme a tutte le sue rendite e ad ogni religiosa è riconosciuta una pensione annua di £. 500. Dalle autorità prescelte, e, dal sindaco di Eboli viene fatto un inventario degli arredi della chiesa e di tutto il materiale del monastero, incluso anche gli oggetti di cucina ed altri di poco valore. I suppellettili sono lasciati in custodia alla Badessa Madre Maria Gaetana Laviano. Nonostante la soppressione le monache restano nel monastero, ospiti del Fondo Culto.

Proprio nei momenti più difficili le monache si attivano ancor di più. Non hanno più niente. Hanno perso tutti i beni, è rimasta solo la forza della fede e della preghiera.

Il 18 febbraio 1866, le Benedettine fondano l’Apostolato della Preghiera denominato “Sacra Lega del Cuore di Gesù”. Nasce proprio dal monastero la prima devozione al Sacro Cuore di Gesù, e crescerà sempre di più fino a quando Eboli gli sarà dedicata il 4 marzo 1928. Questo grazie anche a don Michele Paesano che fonda l’Apostolato della Preghiera nella Collegiata di S. Maria della Pietà, dove  vi pone il gruppo del Sacro Cuore con S. Margherita Alacoque nella cappella attuale, e promuove la pratica dei Primi Venerdì del mese.

Altre chiese ebolitane conservano statue del Sacro Cuore: S. Nicola de Schola Greca, Spirito Santo, comunemente conosciuta come S. Rita, S. Francesco, SS. Cosma e Damiano, S. Bartolomeo. In seguito nel 1986 nel Rione Pescara sarà dedicata anche una parrocchia al Sacro Cuore e a S. Berniero Proprio in questa chiesa parrocchiale nel dicembre 1999 è giunto il gigantesco Gesù Misericordioso, statua in cartapesta con mani e viso di creta, opera di Rocco Zappatore, di Palmariggi (LE).

Sempre in questa parrocchia, sul sagrato, è avvenuto dopo settanta anni, il 23 marzo 1998, il rinnovo solenne della consacrazione della Città di Eboli al Sacro Cuore di Gesù, da parte dell’arcivescovo di Salerno mons. Gerardo Pierro (4 luglio 1992 – ad oggi).

Durante la Santa Visita dell’anno 1917, le monache Benedettine risposero ad un questionario della curia:

Il titolo della chiesa è S. Antonio Abbate. Appartiene, ora, al Municipio ma è mantenuta ed ufficiata dalle Benedettine. Fu eretta circa l’anno 1503 quando fu trasportato il monastero nell’abitato. Non è consacrata. Attigui alla chiesa non vi sono abitazioni. Non ha servitù, ne soggezioni dagli inquilini vicini. Ha bisogno di restauri, al pavimento, non urgenti. Spetta al Municipio farli eseguire. È custodita con porte sicure. Le religiose fanno la sorveglianza notturna. Si apre alle sei e si chiude dopo circa due o tre ore. La comunità Benedettina è incaricata della pulizia della chiesa. La chiesa ha tre altari. L’altare maggiore è eretto in onore della Madonna Regina Monacorum; sotto la Madonna vi è dipinto S. Benedetto, S. Antonio Abbate ed altri santi. L’altare a destra è eretto in onore di S. Michele Arcangelo e quello a sinistra in onore della S. Famiglia. Gli altari sono costruiti di marmo e sono di forma regolare. Non sono consacrati. Non hanno giuspatronato. Hanno i titolari dipinti su tela. Non sono privilegiati. L’altare maggiore ha l’immagine del titolare dipinto su tela. Non ha sottoquadro. Non ha corpi santi, ne reliquie insigne. La chiesa ha un ricco paliotto ricamato in oro e seta, e si usa nelle grandi solennità. La cappella ha la balaustrata di ferro. L’altare maggiore ha il Tabernacolo fisso. È di marmo. È rivestito di metallo dorato. Sopra il tabernacolo non vi si pongono immagini né reliquie. Solo nei venerdì di marzo si espone il S. Legno della Croce. Non vi è la balaustrata per la comunione e per questo si è introdotto l’abuso di ammettere donne, sui gradini dell’altare. Le S. Specie si rinnovano due volte la settimana. Il presbiterio è diviso dal resto della chiesa. Vi è il cancello di ferro che si può chiudere. Non vi prendono mai posto i laici. Il pavimento della chiesa è di mattoni inverniciati. Non è ben conservato, si è tolta la vernice e bisogna rifarla. Nella chiesa vi è solo una sepoltura ben chiusa. Vi è il pulpito fisso. Vi è l’organo che ha bisogno di urgenti riparazioni. Vi è una cantoria munita di grata. Nella chiesa non vi sono monumenti sepolcrali. Non vi sono né pitture, né sculture, né altri oggetti d’arte. La chiesa ha sette statue, quattro piccole, due S. Chiara e S. Scolastica, stanno sempre in chiesa. Parimenti vi è una bella statuetta del Bambino Gesù in legno, è assai venerato dal popolo perché fa spesso miracoli e grazie. Due piccole statue della madonna Immacolata ed Addolorata si conservano in monastero e si portano in chiesa nelle loro feste. Tutte sono state benedette e messe in chiesa col permesso dell’arcivescovo. Nella chiesa vi è un solo confessionale. Non vi sono panche né sedie. Nella chiesa non vi sono esposte reliquie. Quelle poche che possiede sono conservate nel Coro ove le religiose si uniscono per la comune preghiera. Vi è un armadietto a ciò destinato. Internamente è guarnito di seta rossa. Reliquie insigne non se ne posseggono. Ogni reliquario è ben chiuso e munito di sigillo. La facciata della chiesa è decorosa, è semplice e pulita. Non ha bisogno di restauri. Ha la croce nel vertice. La chiesa ha il campanile. È ben custodito. Non ha bisogno di restauri. Vi sono due campane. Si suona ordinariamente quattro volte al giorno: al mattutino, a mezzogiorno, alle ore ventitré e ventiquattro. Nelle solennità si suona più volte. Il Municipio, né altri hanno ingerenza nell’uso delle campane. La chiesa non ha orologio pubblico. Vi è in sacrestia l’elenco dei legati, ma non si celebra più secondo questi perché tutte le rendite di detti legati furono prese dal governo nell’anno 1860. Ed ora il Cappellano è mantenuto dal Vicario della Comunità Can. don Michele Paesano e dal Can. don Vincenzo Maria Catoio confessore della comunità. I quali per venire in aiuto della comunità fanno sacrifici personali. I sacerdoti che prestano servizio alla chiesa sono: il Can. don Vincenzo Maria Catoio, fu Raffaele di Eboli, confessore della comunità, abita in via Umberto I°. Non ha nessuna retribuzione. Opera solo per la gloria di Dio e per aiutare la comunità. È prontissimo e diligentissimo nel compiere il suo dovere. Il Can. don Antonio Maria Catoio, fratello del confessore. Anche lui non ha nessuna retribuzione. Opera solo per la gloria di Dio e per aiutare la comunità. È prontissimo e diligentissimo nel compiere il suo dovere. Il Cappellano don Luigi Gallotta, fu Antonio, di Eboli, di anni 76, abita in via Matteo Ripa. Ha la retribuzione di lire 2 al giorno. La spesa è sostenuta dal Primicerio don Michele Paesano Can. Curato di S. Maria della Pietà e dal Can. don Vincenzo Maria Catoio. È pronto e diligente nel compiere il suo dovere. Il sagrestano è Mariano Cuomo fu Matteo, di Eboli, conta anni 65, è ammogliato. Ha la retribuzione di lire 70 annue. Abita vicino alla chiesa. La chiesa non ha rendite fisse perché tutte la proprietà di detta chiesa del monastero se l’ha prese il governo civile nell’anno 1860. La chiesa non ha nessun beneficio semplice né cappellania, e non ha altre chiese filiali. Nella chiesa non vi sono Congregazioni né associazioni. Non vi sono cappelle amministrate da estranei”.

Dopo la Santa Visita, l’arcivescovo di Salerno mons. Carlo Gregorio Maria Grasso (16 gennaio 1915 – 30 marzo 1929), il 14 luglio decreta di togliere l’uso dei grembiuli e fazzoletti bianchi, che le religiose portano al di sopra dell’intero abito, e la comunità con a capo la Badessa si reca in coro con il solo abito benedettino: “che bella impressione! Le monache sembravano tante Sante Scolastiche!”.

Con disposizioni dell’arcivescovo, il 15 luglio 1917, la comunità si reca al refettorio a prendere il caffè con a capo la Badessa di anni 83, mentre prima ognuno lo prendeva in cella; la ragione di tale uso, è derivata, perché prima le monache, eccetto le inferme, non prendevano caffè, né facevano colazione, essendo di miglior salute. Con l’andar del tempo a secondo dei bisogni personali si dava il caffè o qualche altra cosa, fuori refettorio.

Nello stesso giorno, giunge in processione la statua del Cuore Santissimo di Gesù, accompagnata dall’arcivescovo e dal Clero. La statua, le monache furono costrette a consegnarla al popolo il 26 giugno dello stesso anno, quando per lo strazio del dolore della guerra, gli ebolitani si recarono in tutte le chiese della città, per prendervi le statue dei Santi, portandole processionalmente nella chiesa Madre “le persone andavano piangendo per le strade, implorando misericordia da Dio. Molti uomini si disciplinavano, le donne si battevano il petto con pietre e numerose fanciulle andavano a capelli sciolti con le corone di spine in testa”.

Il 12 agosto 1919, per aver preservato la Comunità dalla generale epidemia degli anni di guerra, le monache hanno festeggiato più di consueto la festività di S. Filomena. Si sono esposte due prodigiose immagini della Santa per un triduo, l’una in chiesa e l’altra in coro; nelle ore pomeridiane quest’ultima si è portata processionalmente dal coro all’educandato e si è collocata in quel posto ove s’intese il meraviglioso suono.

Per i prodigi di questo quadro, nell’archivio è conservato addirittura un documento trascritto da Girolamo Matta, Certificatore Reale del Distretto di Campagna. Il notaio registra tutti i fatti dichiarati dalle monache e dai loro confessori, successi dal 9 febbraio fino al 28 aprile nel 1839. L’atto è trascritto nel parlatorio del monastero alla presenza del primicerio di S. Maria della Pietà, don Nicola Sisto, del canonico della stessa collegiata, don Vincenzo Ludovici, e del cappellano del Collegio Ricettizio di S. Maria del Carmine, don Giuseppe Masillo, e, inoltre, alla presenza innanzi alla grata della Badessa donna Maria Celeste Genovese, donna Maria Rosa Cristofaro, Vicaria, e tutte le altre monache. Nel documento si legge: “Nelle stanze di recente costruzione addette all’educandato, nella prima di esse, ed al muro medesimo della parte d’ingresso a sinistra resta un piccolo quadro coll’effigie della Santa (Filomena) in carta, lungo un palmo, largo tre quarti di palmo con lastra e cornice dorata, di pertinenza dell’educanda Eleonora Picinni, la quale dichiara di essere stata assicurata che tal quadro fosse stato per devozione in contatto colle Sacre Reliquie della Santa”.Giovedì 9 febbraio le educande per la prima volta odono un suono come a passaggio di organo; esso è scambiato per lo scarico delle acque. Il giorno dopo l’evento succede di nuovo e vedendo che la fontana è chiusa, tutte si mettono a cercare da dove provenisse quel suono. Il rumore continua nei giorni successivi, e le monache solo allora capiscono che esso proviene dal piccolo quadro di S. Filomena. Per tali eventi è avvisato il confessore ordinario del monastero, il canonico don Vincenzo Ludovici, che propone di far visitare il luogo dai costruttori Vincenzo Desiderio e Biagio Buonocunto. Questi dopo il sopralluogo assicurano che la costruzione è solida e perfetta. Il canonico allora avvisa l’arcivescovo di Salerno, mons. Marino Paglia, che lo autorizza ad entrare nel monastero. Il canonico insieme al cappellano don Giuseppe Masillo s’accostano al muro dove dietro è appeso il quadro della santa e con grande stupore odono come un passaggio di organo, ed in questo un accordo mirabile, e motivi di scala e di variazioni inesprimibili per il corso ininterrotto di dieci minuti. Stupefatto il confessore incomincia a recitare le Litanie Lauretane in onore della santa. Il documento, infine, indica la spiegazione che si danno le monache su tale evento. I prodigi come si legge su fogli sparsi si sono succeduti anche nel 1853, ed ancora, il 28 marzo 1860. In quel giorno il quadro mentre è esposto in chiesa si ode di nuovo il suono nell’educandato ben chiaro e forte, verso le ore 19 italiane. Sul foglio alla fine si legge: “Cosa sia lo sa Iddio!”.  

Il 16 giugno 1930, avviene la visita di mons. Nicola Monterisi (5 ottobre 1929 – 30 marzo 1944), che dichiara: “La chiesa è tenuta con cura e amore dalle ottime religiose cassinesi. Non resta che congratularmi per la pulizia e il decoro”.

Il 20 giugno lo stesso arcivescovo nomina visitatore interno del monastero, il reverendo Abate di Montevergine don Romiro Marcone che in compagnia del Vicario don Anselmo Tranfaglia visita l’interno del monastero. Già dal 14 aprile 1930, il monastero di Eboli deve avviare e fondare un casa religiosa di Benedettine a Montevergine con la dottoressa Marta Moretti; il 26 giugno, per lo stesso motivo arrivano ad Eboli anche la professoressa Cabitza Nilda e l’insegnante Carmelina Tondo, come postulanti. L’11 luglio 1930, Marta riceve le sante lane Benedettine. Consecutivamente le altre due si ritirano e Marta è trasferita nella monastero di S. Paolo a Sant’Agata sui due Golfi (NA) e a Montevergine non nasce nessuna Comunità religiosa. Marta Moretti muore il 15 marzo 1972 nel monastero di Sant’Agata sui due Golfi.

Il 21 maggio 1935, la Badessa ordina di aggiustare alle Professe il velo nero in testa, in modo da nascondere la corona di capelli che cade sulla fronte, come si usava in antico nei monasteri di clausura.

Durante la seconda guerra mondiale le Benedettine resistono al grande bombardamento, il loro rifugio è nella preghiera. La mattina del 5 agosto, dalle autorità civili è ordinato alle monache di abbandonare il monastero e di portarsi in luogo sicuro.

Qualche religiosa, col consenso della Badessa, si reca nella propria famiglia. Il grosso della comunità, invece, prende la via della montagna di S. Donato accolto in una famiglia conosciuta e sicura.

La Badessa con due monache si recano a S. Maria la Nova di Campagna dove trovano ad accoglierle il parroco don Angelo Vespa. Donna Maria Margherita Monaco e donna Maria Concetta occupano una delle stanze della casa canonica del piano superiore. Il parroco prende posto in un magazzino umido al pian terreno. Intanto le monache che stavano a S. Donato si spostano a Montedoro, nelle vicinanze dell’antica chiesa di S. Giuseppe. In seguito dopo aver trasportato all’ospedale di Eboli suor Chiara che aveva 80 anni, il 13 agosto, le monache si recano a S. Maria la Nova.

Manca donna Maria Benedetta che arriva il 27 agosto e suor Benedetta che giunge il 4 settembre. A S. Maria la Nova occupano la casa canonica e l’aula scolastica. Le 17 monache che sono nell’aula dormono su sei materassi buttati a terra. Le monache vivono la vita monastica quasi come nel loro monastero: preghiera e lavoro.

Il 13 settembre, dopo un intenso bombardamento notturno, celebrata la Santa Messa, don Angelo e le monache partono per la montagna, eccetto la Badessa perché troppo anziana e donna Maria Concetta che si recano in casa di contadini a circa 1 km da S. Maria la Nova.

Allo spuntare del sole, le Benedettine e il sacerdote sono già giunti in montagna alla chiesa di S. Maria del Castello, in tenimento di Eboli; un tedesco, però, li avvisa che non vi è posto né nella chiesa né nelle stanze accanto.

Stanche proseguono per altri 2 km e arrivati alla località dove è il poligono, trovano una stanza rettangolare, scoperchiata e sporca; in poco tempo, portano fuori le immondizie e la puliscono per bene, ma una moltitudine di uomini, donne e bambini giunti in un secondo momento reclamano la proprietà.

Tornate indietro dove c’è un pagliaio, quasi a mezzo km da S. Maria del Castello; costruiscono un accampamento intorno al pagliaio, usando coperte e rami. Nelle vicinanze di questo ne è costruito un altro per il sacerdote, e per l’aiutante che è un caporale di Bergamo che già da molto stava con don Angelo.

Anche nella povertà le monache riescono a mettere da parte qualche cosa da mangiare per eventuali soldati dispersi o poveri di passaggio.

Tra preghiere, lavoro e paura trascorrono i giorni. Il 22 settembre, le monache, accompagnate da don Angelo ritornano nel monastero di S. Antonio Abate il quale è stato danneggiato al soffitto e ai finestroni per lo spostamento d’aria causato dalle tantissime bombe cadute nei dintorni ed una anche nel giardino dello stesso monastero.

Mons. Demetrio Moscato (22 gennaio 1945 – 22 ottobre 1968) arcivescovo di Salerno, esegue il 27 ottobre 1953, la Santa Visita Pastorale. Accompagnato da don Italo D’Elia ascolta tutte le religiose. Alla fine decide che si devono impartire alle Benedettine alcune lezioni di catechismo tenute da don Italo D’Elia.

Il 9 luglio 1955, ricevono come regalo dal frate Cappuccino padre Clemente da Postiglione, ben  50 crocifissi indulgenziati da padre Pio da Pietrelcina.

Il 23 ottobre 1966, di buon mattino, la Badessa donna Maria Benedetta Merola e donna Margherita Monaco, partono per Roma per partecipare al convegno di tutte le Benedettine per il Concilio Vaticano II. Il 28 ottobre 1966, il Santo Padre riceve in speciale udienza, nelle sale del Concistoro le Badesse e Priore unite in Convegno, per esaminare i problemi della vita religiosa; esse sono presentate dall’abate don Alberto Clerici, presidente della Congregazione Benedettina Cassinese e da padre Luca Collini dell’abbazia di S. Paolo. Il Papa rivolge alle Benedettine una cordiale saluto. A sera inoltrata del 31 ottobre 1966, ritornano da Roma le monache sfinite e stanche ma contentissime.

Il 1° novembre 1966, la madre Badessa convoca il Capitolo della Comunità per decidere l’unificazione di classe tra religiose coriste e converse, in conformità al Decreto “Perfectae Caritatis”. Alla fine si avrà una sola categoria di monache con parità di diritti e di doveri.

Il 30 dicembre 1974, giunge in visita al monastero il padre abate Primate don Remberto G. Weatrland, OSB, il suo segretario, un padre indiano e un fratello converso spagnolo. Al suo arrivo è ricevuto dalla Madre Badessa, dalla Priora e da tutta la Comunità. L’abate dopo un cortese saluto  celebra la Santa Messa. Dopo la celebrazione eucaristica visita il monastero e si è rende conto di tutti i disagi. Nella Cronaca si dice: “Verso le 13,30 abbiamo pranzato nel locale dell’ex educandato. Tutte le religiose per ordine di professione si sono recate al loro posto. Dopo la lettura della regola il padre Abate ha dispensato il silenzio, durante il pranzo si è parlato di vari argomenti, alla fine ha elogiato la cuoca per le buone pietanze preparate. Appena finito il pranzo, che è durato circa due ore, ci siamo recate in sala per un trattenimento a dialogo aperto. Il Reverendissimo Abate ad ognuna di noi ha rivolto la sua parola affettuosa, esortandoci ad osservare sempre meglio la regola e ciò che abbiamo professato. Prima di partire la Comunità ha espresso la sua gioia con canti augurali. Egli si è tanto compiaciuto. La Reverendissima Madre Abbadessa gli ha offerto un servizio d’altare e dei fazzolettini ricamati dalle nostre esperte consorelle ricamatrici. Verso le ore 17.30, con il suo seguito è partito per Roma”.

Il 24 gennaio 1977, avviene la Visita Pastorale da parte di don Michele Gargano e mons. Alfonso Tisi, che visitano tutti i luoghi del monastero, ed il 30 gennaio la visita è conclusa dall’arcivescovo mons. Gaetano Pollio (5 febbraio 1969 – 22 settembre 1984) con il segretario mons. Giuseppe Monti, don Fernando Sparano e don Angelo Visconti.

Il 25 marzo 1980, dieci monache si recano a Montecassino sulla tomba di S. Benedetto e S. Scolastica. È celebrata una Santa Messa da mons. Agostino Mayer Segretario della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari. Dopo aver visitato il monastero e dopo pranzo, l’abate di Montecassino don Martino Matronale e mons. Mayer esprimono pensieri di circostanze e ringraziamenti. Suor Aquinata Bockmann del Pontificio Ateneo di S. Anselmo di Roma relaziona sul tema “Possiamo scoprire Maria nella Regola di S. Benedetto?”. Le dieci monache ritornano ad Eboli alle ore 21.00.

Ma a rompere l’equilibrio della comunità è quel tragico 23 novembre 1980, quando la terra trema per circa un minuto. Le religiose non abbandonano il monastero ma si adattano alla meglio nelle cinte murarie dello stesso stabile. Dalla loro cronaca leggiamo: “Oggi 23 novembre 1980, alle ore 19.35 di questo stesso giorno, la Comunità era da poco uscita dal refettorio riunendosi per la ricreazione, quando si è avvertita una forte scossa di terremoto. Un attimo di attenzione per capire cosa stava succedendo e capito cosa stava succedendo e capito che si trattava di terremoto c’è stato lo spavento, un invocare Dio, la Madonna, San Benedetto; alcune si sono abbracciate per farsi coraggio, altre sono corse in coro, chi in giardino, alcune sono rimaste ferme in un punto che credevano più sicuro. Tutto questo è durato per un lungo minuto. Poi passato il primo smarrimento, le monache si sono ritrovate insieme nella parte più solida del monastero: la porteria, il comunichino, il chiostro, e qui, in continua preghiera e con il cuore in ansia per la sorte di tanti nostri fratelli, che certamente data la intensità della scossa, stavano vivendo momenti di tragedia. E cosi è passata più di un’ora. Poi la M. Abbadessa e alcune monache sono andate per tutto il monastero a rendersi conto e a vedere quali danni avesse subito; così hanno verificato le gravi lesioni al noviziato, alla chiesa, all’ex educando, all’ala “salita ripa” e altre meno gravi in altri locali. E visto che la parte centrale e la cappella erano in buone condizioni, nonostante un po’ di tensione le monache si sono riunite per la recita della compieta. Finita la compieta si sono riunite di nuovo in porteria dove hanno passato le gravi ore e interminabili ore della notte in cui si sono ripetute altre scosse meno forti. Intanto, qualche telefonata (per fortuna la linea non era interrotta) ci informava della gravità del sisma, che andava facendosi di ora in ora sempre più tragica. Così pure le monache hanno potuto dare informazioni ai parenti di ebolitani che preoccupati chiamavano fuori città e non trovavano risposte in altre case perché la gente era tutta per le strade”.

La Cronaca continua : “Oggi 24 novembre 1980, un nuovo giorno che ha trovato tante case cambiate nelle due regioni colpite dal sisma. Il sole di oggi sembra voler riscaldare il dolore degli uomini. Oggi sappiamo che la scossa tellurica delle ore 19,35 di ieri, tra il nono e il decimo grado della scala Mercalli, si è estesa in tutta Campania e Basilicata con epicentri in alcuni paesetti dell’Irpinia: Sant’Angelo dei Lombardi, Lione, Conza, Teora, Balvano ... e ha seminato morte, terrore e rovine. Si parla già di più di duemila vittime, cifra destinata a salire; moltissimi i feriti, paesi sfigurati, altri rasi al suolo. Questo nuovo giorno sembra un giorno lontano, molto lontano dal giorno di ieri. Questo giorno ha trovato vite spente, cuori spezzati, sguardi allucinati; ha trovato un dolore grande, inconsolabile. Per il terremoto di ieri sera, la città di Eboli ha riportato gravi danni: è crollato un palazzo sbriciolandosi, facendo, per fortuna, solo due vittime: un papà e la sua figlioletta di dodici anni che al momento della scossa si trovava fuori ed è rientrato di corsa in casa per essere vicina al suo papà che si trovava a letto sofferente. Molti sono i palazzi da abbattere, molti gravemente lesionati, chiese inagibili, parte del centro storico inagibile e lo stesso nostro monastero è stato colpito nelle due ali rese inagibili, così pure la chiesa che resterà chiusa. La Comunità si è dovuta restringere in pochi locali, nella parte centrale che ha resistito al sisma, lasciando deserti, quasi morti, luoghi che fino a ieri erano stati testimoni delle ore serene di vita monastica vissuta dalle monache”.

Con la riapertura della chiesa, il 29 giugno 1986, c’è una discreta presenza di fedeli che partecipa alla liturgia con le monache.

Da quel giorno si è incominciato a parlare degli Oblati come è desiderio da tempo.

Il 15 maggio 1988, si riuniscono gli Oblati del monastero per un ritiro spirituale in preparazione della loro oblazione che avverrà il 19 maggio 1988, giorno di S. Celestino, onomastico della Badessa.

Venti oblati emettono la loro promessa di oblazione, essi sono: don Angelo Visconti, sacerdote e padre spirituale degli Oblati che ha preso il nome di Benedetto; l’avvocato Giovanni Pirone (Pietro Celestino), Alfonso Giarletta (Alferio), Gaetanina Giarletta (Metilde), Renata Baldoni (Maria Fortunata), Alessandra Gallotta (Maria) Maria Concetta Di Stanio (Francesca Romana), Maria Verdine (Scolastica), Anna Genovese (Benedetta), Vita Maurina (Antonia), Vincenza Rosati (Placida), Felice Vocca (...), Generoso Masiello (Ildelbrando), Franco Scarpa (Placido), Marianna Palladino (Geltruda), Antonio Santimone (Guido Ubaldo), Anna Mazzei (Maria Angelica), Lucia Morrone (Maria Cecilia), Anna Cantalicio (Maria Celestina), Rosalia Iorio (Maura).

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