Dal 1700 al 1861

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Vita religiosa delle Monache Benedettine di Eboli dal 1700 al 1861

di Paolo Sgroia e Giuseppe Barra

 

L’arcivescovo di Salerno, col Vicario generale di S. Maria della Pietà, l’abate Parisi e i convisitatori, Domenico Gregorio Gaeta e Antonio Liberia, l’11 gennaio 1700, per le continue richieste fatte dall’Università di Eboli, per la reintegrazione delle monache Benedettine, visitano il monastero.

Nello stesso giorno è nominato amministratore dei beni del monastero il Canonico …. Corcione. Successivamente l’arcivescovo Bonaventura Poerio, con decreto del 21 maggio 1700, riapre il complesso monastico facendovi entrare due monache Benedettine di Teggiano, donna Clara Pasca, Badessa e donna Scolastica Pasca, Vicaria; esse stabilirono la clausura papale.

Dieci giorni dopo la riapertura, le due monache Benedettine di Teggiano, accolgono nel monastero come novizie le figlie del Barone Carlo del Baglivo, ciò si può ravvisare oltre che dalla Platea antica del monastero anche da un atto notarile datato 31 maggio 1700:

“Donna Chiara Pasca, Abbadessa, Donna Scolastica Pasca Vicaria, monache del Monastero di Sant’Antonio Abate da Vienne dell’Ordine Benedettino, ricevono nel loro monastero, Elisabetta e Porzia, figlie di Carlo del Baglivo, Barone di Casigliano del Cilento. Le due sorelle Elisabetta e Porzia hanno deliberato di abbandonare il mondo, e fare acquisto della gloria celeste coll’entrare come novizie in detto monastero, et ivi menare vita monastica, e religiosa sotto detto Ordine…”.

Nel giugno 1701, Elisabetta e Porzia del Baglivo professano la Regola di S. Benedetto assumendo rispettivamente il nome di Benedetta e Rosa.

In questo periodo il monastero è frequentato da Matteo Ripa, fondatore del Collegio dei Cinesi e dal fratello Mattia, parroco di S. Maria ad Intra di Eboli e futuro Vescovo di Ebrom. I fratelli Ripa riconoscono il monastero luogo idoneo per accogliere la loro sorella Felicia, la quale esterna vocazione religiosa. Nel gennaio 1713, la Badessa donna Benedetta del Baglivo, la Vicaria Donna Rosa del Baglivo insieme a tutte le altre monache, ricevono dai fratelli Tommaso, Diego, Lorenzo e don Mattia Ripa la dote della novizia Felicia Ripa (di anni diciotto) che deve professare in breve.

Tante sono le giovani di Eboli e di altri paesi che entrano in monastero. Molte di loro svolgono solo l’educandato, come ad esempio, il 10 aprile 1717, fa la signorina Anna Maria della Piane di Napoli. Il 7 maggio 1742, i fratelli Berniero ed il reverendo Francesco d’Amore s’impegnano a pagare ogni sei mesi 11 ducati per la sorella Giovanna d’Amore figlia di Diego. Il detto Berniero si obbliga a prendere in casa Giovanna nel caso non avrebbe emessa la professione o sarebbe stata licenziata.

Altre, dopo l’educandato eseguono il noviziato e infine emettono la professione solenne. Un esempio è la richiesta di professione solenne di donna Teresa Maria d’Alessandro che il 17 giugno 1743 così scrive:

“In nomine domini nostri Jesu Christi Amen, Anno a Nativitate Ejusdem millesimo septincentesimo quadragesimo tertio, die vero 17 giugno, donna Maria Teresa ab Alexandro della città di Napoli, in presenza dell’Onnipotente Iddio, dell’Immacolata sempre vergine Maria, del beato San Benedetto e tutto l’ordine celeste, il canonico don Pietro Campagna, vicario del Monastero delle monache e in presenza dell’Abbadessa donna Caterina Cristofaro e le altre monache, promette di ubbidire alla Regola di San Benedetto”.

Ed ancora, il 20 febbraio 1763, professa la novizia donna Maria Celeste Cristofaro scrivendo di propria mano:

“Donna Maria Celeste Cristofaro de Civitate Neapolis hic genuflera, costituita coram Deo, Immaculata, temper Virgine Maria, Beato Benedicto nostro Padre e Patriarca, totaque celesti auria. In manibus illustrissimi admodum reverendi canonici domini don Pietro Campagna, vicario del Venerabile Monastero delle monache della terra di Eboli dedicato a Sant’Antonio Abbate e in presenza della reverendissima Abbadessa donna Giuseppa Cristofaro e le altre monache di detto monastero, promette di vivere in base alla regola di San Benedetto”.

La vita religiosa nel monastero delle Benedettine è disturbata solo da eventi esterni, come la soppressione napoleonica, ma le monache non abbandonano il monastero.

La vita comunitaria continua nonostante le difficoltà politiche del tempo; di tanto in tanto l’arcivescovo si reca nel luogo di preghiera per esercitare le sue funzioni, specie quelle riguardanti la Visita Pastorale.

Mons. Marino Paglia (6 aprile 1835 – 5 settembre 1857), eseguendo la sua prima Visita Pastorale tra la fine di giugno e i primi di luglio 1836, lamenta gravi abusi da parte delle Benedettine, sull’osservanza della povertà, sulla mancata vita comune, sull’abito, sul vitto, sul contatto con estranei al monastero, rapporto epistolare, regali, nel perdere tempo alle grate a parlare con individui non stretti congiunti, ed infine deplora la dissipazione e distrazione nel corpo.

Dopo aver ascoltato le monache professe coriste, le converse, le novizie, e le educande, l’8 luglio 1836, emana 12 decreti per instaurare in modo esemplare e completo la vita religiosa, conforme alle regole dell’ordine, ai canoni della chiesa, alle disposizioni della Santa Congregazione dei Vescovi e Regolari e più di altro agli oracoli Apostolici del Papa Gregorio XVI. Afferma il voto di povertà eliminando quando ne impedisce l’osservanza. Ecco quello che l’Arcivescovo decreta: “Da oggi innanzi resta proibito di darsi dalla Badessa e dal Procuratore alle monache qualunque denaro per qualsiasi titolo. Instaura la vita comune non potendosi più tollerare ogni abuso contrario. Ciascuna monaca avrà dal monastero tutto quanto è necessario e tanto per il vitto in comune. Si vieta qualunque corrispondenza colle persone esterne sia con regali sia con lettere, eccezione fatta per gli stretti congiunti”.

Il Presule emana direttive per le visite alle grate con criteri già noti, tenuto presente, di “non perdere tempo inutilmente”. L’arcivescovo trova in questo monastero come in altri, l’educandato e il noviziato confuso nei locali “ove stanno e dormono le monache”. Designa, durante la visita, i locali da adibirsi rispettivamente per il noviziato e l’educandato “tra loro divisi e diversi”. Questi da adattarsi entro il 1° settembre. Deplora ancora che “le religiose vadano oziando o girano senza necessità i locali del monastero e facciano espressa proibizione ed esortiamo tutte e ciascuna a non perdere il tempo che è tanto prezioso ed a impiegarlo nelle ore libere a qualche onesto lavoro” a vantaggio della comunità.

Raccomanda specialmente alla Badessa che venga custodito, osservato e difeso in comunità quel riserbo tanto necessario proibendo alle monache l’accesso alle logge ed al belvedere, luogo di facile distrazione. Quasi tutte le monache ascoltate sono d’accordo per la vita comune.

Teresina Natelli di Salerno di anni venti educanda da sedici mesi, dichiara all’Arcivescovo: “Nel coro, chi parla, chi ride. Il silenzio non ve n’è in refettorio, né in cucina; sopra le campane v’è una finestra senza gelosia, nonostante che si fosse ordinata da mons. Alleva, si discorre dalla finestra del coro. Suor Maria Simplicia d’Amore si confessa e si comunica una volta all’anno nel precetto e non viene alle orazioni ...”.

Nella seconda visita eseguita, l’11 giugno 1840, la Badessa Maria Celeste Genovese di 63 anni dichiara che tutti i regolamenti, stabiliti dopo la prima visita si stanno esattamente eseguendo. Le grate non sono affatto frequentate. La Badessa precisa pure che tutto il culto religioso nella loro chiesa, celebrazione di messe, tridui, novene, feste, viene svolto senza pompa e tumulto di popolo ma con ogni decoro e devozione.

Nella quarta visita del 19 aprile 1847, la comunità segna un rilevante progresso. Le monache singolarmente interrogate, si dichiarano contente della vita comune, del confessore e qualcuna fa notare giustamente che “bisognerebbe un po’ più istruzione sulle cose spirituali alle educande e che tale istruzione si dovrebbe fare dalla monaca Maria Luisa Mazzarella, come più atta”. La stessa segnala che “le converse sono un po’ ardite”.

Le monache sempre nella Santa Visita di mons. Paglia dichiarano che la nuova costituzione della Venerabile Clausura a norma delle regole del Padre Benedetto, a norme delle leggi attualmente in vigore nella Santa Cattolica Chiesa Romana è stata fatta nell’anno 1836.

Mons. Marino Paglia ordina, il 20 aprile 1847, che nel monastero di Eboli possono abitarci 15 coriste e 5 converse e che ogni corista deve portare in dote 500 ducati.

In quell’anno nel monastero dimorano 21 monache coriste e 5 converse.

L’arcivescovo decreta anche di ammodernarsi sul rito di eseguire la vestizione alle novizie: “Nel tempo che si dovrà fare la sacra funzione di vestire le novizie, queste staranno in chiesa e dovranno esserci: l’abito delle novizie, le forbici per tagliare i capelli, un bacino per ponervi i capelli, i veli per coprirsi quando si comunicano, due torce di cera, una sedia per il sacerdote, l’incensiero e l’incenso benedetto, il secchietto coll’acqua benedetta e l’aspersorio. Se la sacra funzione si fa di mattina privatamente si canterà la Messa dello Spirito Santo, con Gloria, Credo, con colletta di San Benedetto, o di altro santo che piacerà alle novizie, e la quale dovranno tenere due torce o candele accese in mano. Finita la Messa il sacerdote se ne andrà nel coro dell’Epistola, e dopo di aver deposto la Pianeta e Manipolo, si adatterà la stola pendente avanti il petto, e si vestirà di Piviale come è solito e dirà l’antifona e le monache canteranno il Gloria Patri e il Salmo. Terminato ciò si danno le vesti alle donzelle e le terranno in mano per farle benedire e le incenserà e aspergerà l’acqua benedetta, poi benedirà le donzelle dopo l’orazione. Il sacerdote condurrà le donzelle alla porta della clausura e formulerà una preghiera. La Badessa toglierà alle donzelle le vesti del secolo e le vestirà dell’abito della religione mentre il sacerdote in chiesa pregherà. La Madre Badessa taglierà i capelli e il sacerdote dirà l’antifona, poi si canterà il Te Deum laudamus”.

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