San Cataldo

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San Cataldo ad Eboli

 

Le notizie su San Cataldo sono abbastanza povere (un po’ come il nostro San Berniero). Affidandoci alla tradizione, sappiamo che San Cataldo era un monaco irlandese, discepolo di San Carthag abate di Rathan in Irlanda, il quale dopo la controversia pasquale fra Chiesa celtica e romana, lasciò la città e si portò a Lismore, centro della Repubblica d’Irlanda, dove nel 633 vi fondò un monastero, divenuto presto rinomato centro religioso e culturale; il suo abate ebbe anche dignità vescovile.

I monaci irlandesi furono grandi viaggiatori, spinti in terre lontane dal desiderio di predicare il Vangelo. E’ il periodo in cui l’Irlanda, definita “isola dei santi”, conta una ricchissima proliferazione di santi missionari.

Sono poche le persone che conoscono l’origine irlandese di tanti santi venerati in Italia, come: San Frediano a Lucca, Sant’Orso ad Aosta, San Donato a Fiesole, San Folco a Piacenza, Sant’Emiliano a Faenza e San Cataldo a Taranto.

La maggior parte dei monaci irlandesi si fermò in Europa, seguendo le orme di San Colombano e San Gallo, mentre, San Cataldo si spinse fino in Terrasanta; di ritorno si fermò a Taranto dove divenne Vescovo (anche di Rachau, diocesi sconosciuta), e ivi morì nel 685: è patrono della città e la sua festa cade il 10 maggio.

A Eboli è stata intitolata una chiesa rurale al Santo irlandese, costruita al tempo dei Normanni insieme con Santa Cecilia, San Nicola al Lagno, San Nicandro, Santa Lucia, San Silvestro de Firmiano, San Felice, San Martino, San Donato, San Nicola di Calcarola, Sant’Antonino, Sant’Agata, Santa Maria Maddalena.

La chiesa è ubicata sulla collina al di sopra del quartiere “Ceffato”, in mezzo a secolari oliveti, circondata da splendide abitazioni a testimonianza della bellezza del luogo. Tale collina nella toponomastica cittadina prende il nome del Santo ed un primo documento che la nomina è del 28 agosto 1435: “Giovanni de Silvestro, detto Bianco, vende a Giacomo de Buttalaporta un uliveto, sito nel tenimento di Eboli alla località San Cataldo e confinante con i beni della chiesa di Santa Maria de Intro”. Un altro documento è datato 27 agosto 1547: “Essendo gravemente ferito, il 17 giugno 1547, Giovanni Paolo Buccella aveva fatto redigere il suo ultimo testamento dal notaio Alfonso di Buccino di Eboli, nominando sua erede la sorella Giovannella Buccella e legando alla sorella uterina Margherita Sandella sette once d’oro oppure un uliveto con macchia, sito alla località San Cataldo e confinante con i beni della chiesa di San Guglielmo”.

La chiesa fu costruita per volere di Romualdo II Guarna, illustre Arcivescovo di Salerno nel 1160, il quale  resse la vita spirituale della Diocesi dal 1153 fino alla sua morte, avvenuta nel 1181.

L’alto prelato si distinse come abile diplomatico dei re normanni Guglielmo I e II, con i papi Adriano IV e Alessandro III e con l'imperatore Barbarossa; era anche medico di vasta scienza, agiografo e cronista: il suo Chronicon è la prima storia d'Italia.

Il Crisci afferma che la chiesa fu costruita in Campagna presso Eboli con un monastero annesso, eretta la Diocesi di Campagna da Papa Clemente VII (1525) i beni del monastero furono uniti alla mensa vescovile di Salerno.

Nel giugno del 1173 metà della chiesa e dei suoi beni passarono in possesso del chierico Pietro, figlio di Roccone, avuti in eredità per testamento del prete Riccardo, suo zio paterno. Nello stesso documento la chiesa di San Cataldo è detta “sitam in pertinentis propiniani in monte qui n. ... dicitur”.  

La chiesa si può raggiungere dalla stradina che parte da piazza Borgo attraversando la località Santa Croce, oppure dalla strada omonima che si dirama dalla Via Santa Maria di Costantinopoli, presso il “Ceffato”. 

L’edificio è a pianta rettangolare, la facciata è ben conservata e si presenta con una piccola nicchia sopra la porta e più in alto un oculo a forma di croce. Nell’interno sono visibili i resti dell’altare centrale in un abside color  celeste. Dietro l’altare, si conservano tutti gli stucchi che adornavano una tela, sicuramente raffigurante il Santo e non esistono tracce di affreschi. Nelle pareti laterali vi è una finestra per parte e tracce di acquasantiere asportate. L’interno al contrario dell’esterno conserva tutti gli intonaci dei muri, si presenta pulito, non abbandonato; si potrebbe facilmente recuperare la chiesa  rinforzando l’abside e installando il tetto mancante.

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