Ritiro Inizio Anno

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PARROCCHIA SACRO CUORE

Rione Pescara - Eboli (SA)

 

 

GRUPPI DI FORMAZIONE

RITIRO D’INIZIO ANNO PASTORALE

domenica 2 ottobre 2011

  

PROGRAMMA

 

 

 

                                                              ore   15.45    Accoglienza - Caffé (Salone comunitario)

                                                              ore   16.00    Ora media (Auditorium)

                                                              ore   16.15    Lectio personale

                                                              ore   16.45    Spunti di riflessione (Auditorium)

                                                              ore   18.00    Meditazione personale

                                                              ore   19.00    Adorazione Eucaristica (Chiesa)

                                                              ore   19.30    Vespri (Chiesa)

                                                              ore   20.00    Conclusione

                                                             

Complesso Parrocchiale Sacro Cuore

 

Giosuè 4,10-24

 

10I sacerdoti che portavano l'arca rimasero fermi in mezzo al Giordano, finché non si fosse compiuto quanto Giosuè aveva comandato al popolo secondo l’ordine del Signore e secondo tutte le prescrizioni dategli da Mosè. Il popolo dunque si affrettò ad attraversare il fiume. 11Quando poi tutto il popolo ebbe terminata la traversata, anche l'arca del Signore attraversò e i sacerdoti si posero dinanzi al popolo. 12Quelli di Ruben, di Gad e metà della tribù di Manàsse, ben armati, attraversarono in testa agli israeliti, secondo il comando di Mosè; 13circa quarantamila, militarmente equipaggiati, attraversarono davanti al Signore pronti a combattere, in direzione delle steppe di Gerico. 14In quel giorno il Signore rese grandi Giosuè agli occhi di tutto Israele. Essi lo temettero, come avevano temuto Mosè tutti i giorni della sua vita. 15I1 Signore disse a Giosuè: 16«Comanda ai sacerdoti che portano l'arca della Testimonianza di risalire dal Giordano». 17Giosuè comandò ai sacerdoti: «Risalite dal Giordano". 18Quando i sacerdoti, che portavano l’arca dell'alleanza del Signore, risalirono dal Giordano, nello stesso momento in cui la pianta dei loro piedi toccò l'asciutto, le acque del Giordano tornarono al loro posto e rifluirono come nei giorni precedenti su tutta l'ampiezza delle loro sponde.

19II popolo risalì dal Giordano il dieci del primo mese e si accampò in Gàlgala, sul confine orientale di Gerico. 10Giosuè eresse a Gàlgala quelle dodici pietre prese dal Giordano : 21e disse agli Israeliti: «Quando un domani i vostri figli chiederanno ai loro padri: Che cosa sono queste pietre!, 22darete ai vostri figli questa spiegazione: All'asciutto Israele ha attraversato questo Giordano, 23poiché il Signore, vostro Dio, prosciugò le acque del Giordano dinanzi a voi, finché non attraversaste, come il Signore, vostro Dio, fece con il Mare Rosso, che prosciugò davanti a noi finché non attraversammo; 24perché tutti i popoli della terra sappiano che la mano del Signore è potente e voi temiate tutti i giorni il Signore vostro Dio».

 


 

Lectio Personale

 

Prego

Signore, Dio di Israele e Padre nostro, è il tempo del passaggio, dell'andare oltre, del raggiungimento della meta.

Ti ringrazio, perché tu mi hai portato a questo punto, mi hai fatto strada senza lasciarmi mai solo.

Ora, ti prego, apri il mio cuore e tutta la mia vita al coraggio, alla fiducia e alla gioia; il canto della felicità sgorghi dal mio cuore.

La tua Parola mi raggiunga e passi, anch'essa, assieme a me, al di là del grande fiume e delle sue acque invalicabili.

Con te, o Signore, questo è possibile.

La terra promessa, il sogno tanto a lungo coltivato e amato, è aperto davanti a me: so che posso finalmente entrare e fare festa.

Manda il tuo Spirito, soffio potente e le acque si ritirino davanti a me; mi accolga lui, sulle sue ali e mi conduca là dove tu mi hai a lungo aspettato. Amen.

 

Sto in silenzio

Elimino tutti i rumori, le voci, le parole che non servono più, per lasciar parlare, ormai, solo le acque sante del grande fiume di Dio, che si chiama misericordia.

Sono esse a raccontare tutta l'intensità di questo momento; prima scorrevano, riempiendo gli argini del Giordano, ma ora, ferme, anch'esse tacciono e fanno largo al mio cuore, alla mia anima, per entrare nella terra dell'incontro.

No, non parlo più, ora, non invoco, non supplico, ma profondamente taccio e mi metto in cammino, inizio la mia grande traversata.

 

Leggo e rileggo

La prima cosa che riesco a percepire, leggendo a fondo questo brano, è la presenza forte, ripetuta, incalzante del termine Giordano, ripetuto nove volte. Davvero si vede chiaramente che proprio qui sta il cuore, il centro, il punto focale di arrivo e di passaggio, di sosta e di conquista. Tutto il percorso di quarant'anni nel deserto trova qui il suo culmine, la sua conclusione.

A questo vocabolo sono legati alcuni verbi particolari: prima il verbo fermarsi (v. 10); poi attraversare (vv. 10-13); poi il verbo risalire, ripetuto quattro volte (vv. 16-19); poi di nuovo il verbo attraversare (vv. 22-23).

Così si delinea bene, davanti ai nostri occhi, il cammino lungo il quale questa Parola vuole accompagnarci.

Di contro al Giordano sta un altro luogo, una nuova terra: Gàlgala e in particolare la città di Gerico; a esse sono legate parole come combattimento, guerra, armati (vv. 12-13) e poi accamparsi ed erigere (vv. 19-20).

Così comprendiamo qual è la meta del nostro percorso, della nostra traversata e risalita: in queste righe, di noi sta scritto che dobbiamo raggiungere il Giordano, qui fermarci e poi compiere la grande traversata per raggiungere la terra del nostro sogno; allora troveremo casa al nostro cuore inquieto e assetato. Però tutto questo deve necessariamente passare anche attraverso la guerra, il combattimento.

Un'altra cosa che noto è il ricorrere di espressioni legate al verbo comandare: «Finché non si fosse compiuto quanto Giosuè aveva comandato secondo l'ordine del Signore» (v. 10); «secondo tutte le prescrizioni» (v. 10); «secondo il comando» (v. 12); e ancora: comanda (v. 16), comandò (v. 17).

Per dire che tutto questo nostro camminare, il percorso intero della nostra vita, le conquiste, gli attraversamenti, le risalite, le soste, tutto è voluto, è desiderato da Dio, secondo la sua volontà di amore e di felicità su di noi. Non siamo lasciati al caso, ma c'è un ordine ben preciso e voluto, seguito passo passo da chi ci ama davvero.


 

Spunti di Meditazione

 

La vicenda

Questo brano ci pone agli inizi del libro di Giosuè, continuazione immediata del Pentateuco, il grande libro della legge. Dopo la morte di Mosè (Dt 34), la guida del popolo ebraico era stata affidata al giovane Giosuè (Gs 1,2) da Dio stesso, con la promessa di essere sempre con lui, per aiutarlo nella conquista della terra promessa (Gs 1,5).

Giunti finalmente al termine del lungo viaggio, gli israeliti si accampano presso Gerico, al di qua del Giordano e si preparano all'attacco.

Dopo avere inviato spie per un primo sopralluogo dentro le mura della città (cap. 2), Giosuè organizza il popolo, i sacerdoti e gli scribi: tutti si muovono e cominciano ad attraversare le acque (Gs 3,14ss.).

Il passaggio termina proprio in questi nostri versetti, che ci offrono lo spettacolo meraviglioso dell'intervento potente di Dio nella storia dei suoi figli: come già davanti al Mar Rosso, così anche qui, sulle rive del Giordano, non possiamo che proclamare quanto grande sia la misericordia del Dio di Israele. All'asciutto passa il suo popolo; più forte delle grandi acque, più forte dell'immenso deserto infuocato è il suo amore per noi.

 

Le parole

Il popolo si affrettò.

Questo verbo porta in sè una grandissima carica di movimento e azione, di agilità e forza.

Lo troviamo, infatti, altre volte nello stesso libro di Giosuè, per esprimere l'azione di attacco nei confronti del nemico (Gs 8,14.19).

Ma ancor più interessante è sottolineare un termine particolare che deriva da questa radice e che significa dote, prezzo nuziale; si tratta, cioè, della somma in denaro o dei beni che venivano pagati al padre della ragazza che si voleva prendere in sposa. Fra i tantissimi esempi che la Scrittura ci offre, possiamo ricordare la dote offerta da Sichem per Dina (Gn 34,12) o il lungo servizio di Giacobbe per avere in sposa Rachele (Gn 29,15-30) o anche il singolare tesoro che il re Saul chiese a Davide per dargli in moglie sua figlia Michal (1Sam 18,25).

Dunque da tutto questo noi comprendiamo che l'attraversamento delle acque, l'ingresso nella terra promessa, l'inizio di una vita nuova in Canaan, lontano dalla schiavitù d'Egitto, è come uno sposalizio, un patto d'alleanza stretto con la vita stessa.

I figli di Israele - quelli di allora, ma oggi anche noi - decidono di lasciarsi alle spalle il passato, si buttano nelle acque nuove della misericordia di Dio, che offre ancora una possibilità di ricominciare da capo, si uniscono alla vita che sta loro davanti, come con una sposa.

 

Ad attraversare.

Ed ecco, a questo punto, dopo la decisione, dopo l'abbraccio e il patto d'alleanza, splende davanti a noi la parola chiave di tutto il brano, di tutta la vicenda: il verbo attraversare, passare, andare al di là, superare.

Tutte queste sfumature di significato parlano da sé, con una chiarezza incredibile: bisogna solo muovere il primo passo, entrare senza paura dentro l'avventura di grazia che è l'attraversamento.

Ma non può rimanere traccia di paura, di dubbio, di titubanza; non si potrà tornare indietro.

Lo sguardo fisso in avanti, puntato sulla riva opposta, sull'al di là, verso il luogo della conquista.

Chi sarà capace di fare così, di fidarsi così di Dio, allora non conoscerà le ombre della sera, ma dentro di lui splenderà il giorno nuovo; infatti, letto al contrario, il termine ebraico passare diventa sera. Ma noi non siamo delle tenebre, né della notte; per grazia siamo stati fatti figli del giorno (cf. 1Ts 5,5).

 

Ben armati.

Di quali armi si parla qui?

Qual è l'equipaggiamento di guerra richiesto per compiere il grande attraversamento, la conquista e riuscire ad andare al di là?

Certo, l'espressione qui usata vuole esprimere proprio la realtà dei soldati in assetto di guerra (Nm 31,5; lCr 12,25; 2Cr 17,18), pronti a scendere in campo.

Però da questa radice verbale deriva anche il termine cintura, o lombi, fianchi, come luogo del vigore, da dove esce la vita.

Talmente grande e profonda, allora, è l'unione, la fusione, la conquista del sogno e la sua realizzazione, da diventare capace di generare ancora vita.

Non si raggiunge la riva opposta, non si superano le acque per una conquista sterile, già morta e chiusa in se stessa, ma per un amore più grande, per la nascita di una creatura nuova.

Il profeta Geremia che usa questa stupenda immagine, ci aiuta a capire ancora meglio a cosa siamo chiamati, anche noi, che leggiamo e meditiamo questo brano. Dice infatti: «Come una cintura aderisce ai fianchi di un uomo, così la casa di Israele aderisce a Dio» (cf. Ger 13,11).

Questa è la nostra arma vincente, il nostro equipaggiamento per uscire in battaglia e ritornare vittoriosi e felici, avendo conquistato, ancora una volta, un pezzettino della nostra vita, dono nuziale consegnato da Dio a ognuno di noi.

 

Risalite dal Giordano.

E ora un ulteriore passo avanti: la risalita.

Che bello vedere il progredire di questo cammino di grazia, scritto anche per noi!

Giordano, in ebraico, vuol dire precisamente scendere e sentiamo subito tutto il peso, tutta la fatica di questa esperienza, che certamente ha toccato la nostra esistenza, in molti modi diversi.

Scendere da un luogo più alto, abbassarsi, ma anche scendere nel profondo, ancora più giù di quanto già non fossimo, quindi sprofondare, quasi annegare.

Tutte possibilità, tutti passaggi di vita.

Eppure l'ultima parola non può essere questa: per chi si mette in viaggio con il Signore e aderisce a Lui con l'amore che può, l'esperienza del Giordano, della discesa conduce sempre alla risalita.

Viene, sorge il giorno felice in cui anche per noi risuona questa parola di vittoria: «Risalite dal Giordano!».

 

Il dieci del primo mese.

Non in un giorno qualunque, nella nebbia di una data senza importanza, ma in un momento ben preciso.

Sì, perché Dio, il nostro Dio, conta tutti i giorni della nostra vita, mese per mese, anno per anno; nulla sfugge al suo sguardo di amore e tenerezza.

È precisamente il 10 e non un altro giorno; proprio il primo mese e non un altro.

Qui è l'appuntamento, l'incontro.

Già altre volte, nella Scrittura, era comparsa questa data: Yom kippùr, il grande giorno dell'espiazione, del perdono, cade il 10 del mese (Lv 16,29); lo shofàr, il corno sacro, dà il suo suono per l'inizio del giubileo il 10 del mese (Lv 25,9); Nabucodonosor assedia Gerusalemme (2Re 25,1; Ez 24,2) ed entra nella città (Ger 52,15) il 10 del mese.

Dunque è un giorno di lutto, di pianti e penitenza; giorno di grandi lacrime e quasi di immobilità.

Eppure sotto questa scorza di dolore è nascosto, come sempre, un tesoro di grande gioia, di benedizione.

La radice del termine ebraico dieci è legata a un verbo arabo, che significa formare una comunità e ai sostantivi tribù, assemblea. È la grazia della comunione, dell'essere insieme, del superamento delle barriere di solitudine e isolamento.

Al di là della lacrime, può nascere ancora il sorriso di chi sa, è certo, di non essere più solo e abbandonato in balia di quanto accade.

Ma se il dieci è una grazia, al tempo stesso è una grande sfida, è la fatica di uscire da sé, dai propri percorsi personali per immettersi dentro un cammino comunitario, di coppia, di famiglia, di gruppo.

Non si può seguire Dio da soli, lasciando fuori dalla propria storia d'amore con Lui tutti gli altri.

Il cammino cristiano o è cammino di comunione o non è nulla.

 

Si accampò in Gàlgala.

Solo dopo questi passaggi forti, dopo questa uscita da sé realizzata nel numero dieci, avviene il primo contatto con la terra della promessa, col sogno, col desiderio profondo del nostro cuore.

Gàlgala è il luogo della realizzazione, della conquista, del godimento.

E come avviene tutto questo?

Il mistero, ancora una volta, sta nel nome: Gàlgala, infatti, significa rotolare via, arrotolare.

Come fa Giacobbe con la pesante pietra che copriva la bocca del pozzo: la afferra e la rotola via, perché le greggi possano bere (Gn 29,3.8.10).

Non esiste più un pozzo, un sepolcro sigillato per sempre; la forza della risurrezione di Cristo ha rotolato via ogni pietra che impediva alla vita di nascere.

Non c'è più un cuore a cui non sia data la possibilità di tornare a respirare, a sperare, anche in questo mondo, in queste nostre vite a volte spezzate e profondamente ferite.

Giosuè stesso offre un significato in più a questa realtà, quando dice, rivolto al suo popolo: «Oggi ho allontanato, ho rotolato via da voi l'infamia dell'Egitto» (Gs 5,9).

È davvero così: dentro queste righe di salvezza anche noi siamo spogliati, liberati dalla vergogna, dall'infamia e siamo fatti nuovi, rivestiti a festa.

Ma c'è un altro dono legato a Gàlgala, luogo del nostro arrivo.

La Scrittura ci offre una sfumatura particolare, bellissima, del verbo arrotolare riferito a Dio e cioè: arrotolare se stesso sul Signore.

È il movimento di chi affida a Dio tutta la propria vita, i pensieri, i desideri, i dolori, le speranze, ogni cosa (Pro 16,3; Sal 36,5), di chi confida in Lui e lo abbraccia con tutto se stesso (Sal 21,8), come figlio che non ha altra speranza, altra sicurezza che nel Padre suo.

 

All'asciutto Israele ha attraversato.

Le acque che si sono ritirate davanti ai figli di Dio, qui al Giordano come già al Mar Rosso, sono le stesse che ancor prima avevano lasciato il posto alla terra asciutta, dopo il diluvio (Gn 8,13s.) e ancora le stesse che avevano sospinto Giona, naufrago nel grande mare, ritirandosi da lui (Gio 2,11). Acque benedette, che ci parlano di salvezza e di grazia; nessun diluvio, nessun naufragio nella nostra vita potrà mai essere così definitivo, così assoluto. C'è ancora terra per noi, ancora suolo verdeggiante, pascolo di amore, nel quale il Signore vuole condurci.

 

È potente la mano del Signore.

Finisce così il nostro brano, con la mano del Padre tesa verso di noi, aperta in tutta la sua forza e la sua capacità di accoglierci, di portarci. Nessuno potrà strapparci dalla sua mano, ma egli, con la sua tenacia invincibile, continuerà sempre a stringerci a sé, a plasmarci, a farci nuovi, a darci ancora vita, ancora felicità.

 

I personaggi

Al centro di tutto il racconto sta l'arca di Dio, presenza forte, sicura, invincibile. Ferma in mezzo al Giordano, maestosa e serena, tiene lontane le acque e apre il passaggio ai figli di Israele. Solo quando l'arca si muove e raggiunge la riva, anche le acque possenti del fiume possono ritornare a scorrere secondo il loro flusso abituale. L'arca è Dio in mezzo al suo popolo. Il testo dice che è portata, è sollevata dai sacerdoti, ma in realtà è lei che porta, che solleva e fa camminare tutto un popolo, ogni uomo e donna, ogni figlio e figlia, uno per uno.

E chiamata con nomi diversi, ma è sempre lei, uguale, fedele: arca (v. 10), arca del Signore (v. 11), arca della testimonianza (v. 16) e arca dell'alleanza (v. 18). Portata lungo tutto il cammino nel deserto, essa conteneva le tavole della legge, scritte dal dito di Dio, la verga fiorita di Aronne e una misura di manna, cibo del cielo per gli israeliti (Es 25,10-21; 37,1-9; Dt 10,1-5; Eb 9,4). Era certezza della vittoria davanti ai nemici, sicurezza di vita, garanzia della presenza viva di Dio; senza l'arca, Israele non era più, si sentiva smarrito e solo, in balia di tutti. Mai avrebbe potuto raggiungere la terra promessa, senza l'arca, senza il suo Signore. È grazie a Lui che anche noi camminiamo, attraverso i percorsi della nostra vita, oltre i deserti, le acque, le aridità, le mura di città sconosciute.

E poi c'è Giosuè, il capo, il condottiero, il ponte tra Dio e gli uomini: è lui, infatti, che riceve i comandi e le parole di Dio e li trasmette a Israele (v. 10). Il testo dice che Dio lo rese grande, usando un verbo alla forma intensiva. Parola stupenda, perché costituita dall'intreccio di due sostantivi: felicità e povero. Davvero la vera grandezza, la vera gloria è questa: riconoscerci poveri davanti a Dio, bisognosi di Lui, del suo amore e in questo trovare la nostra felicità. E così che Giosuè, «salvezza di Dio» - questo significa il suo nome - diventa ponte, passaggio tra il cielo e la terra, tra la misericordia e la povertà, per condurre l'uomo alla terra promessa, là dove nasce la vita nuova.

Giosuè vive per il popolo: la sua vita ha significato solo in relazione al popolo e al rapporto di esso con Dio. Ecco perché anche in questo breve passaggio di Scrittura le due presenze sono così vicine, così intrecciate l’una nell’altra.

Conosciamo tutta la debolezza e la fragilità, lo smarrimento e la durezza di cuore proprie di Israele, popolo di Dio. Non solo perché le leggiamo nel racconto biblico, ma anche perché ogni giorno ne facciamo esperienza personalmente, essendo anche noi parte di questo popolo santo, glorioso e infinitamente amato.

Eppure qui, accanto a Giosuè, al termine di un cammino enorme, durato tutta una vita, il popolo sembra come trasformato, forse proprio grazie alle fatiche, ai superamenti, alle piccole conquiste degli anni di deserto. Infatti leggiamo che il popolo si affretta, non indugia più, non vacilla, non dubita; è sicuro di avere Dio con sé, dalla propria parte. Quindi è un popolo in movimento, in cammino, che guarda e va in avanti, anzi corre. O, meglio ancora, passa, attraversa, va ai di là. E questo è solo il primo livello della sua crescita, perché poi vediamo che questo popolo è capace ancora di qualcosa in più: infatti sale. è bellissima questa immagine: prima un movimento, sempre più sicuro, poi il passare, l'attraversare e infine il salire. Tutte tappe di una crescita spirituale molto forte, che anche noi siamo chiamati a compiere, nell'esperienza luminosa di questa meditazione della parola di Dio.

Ma non dobbiamo pensare che tutto si fermi qui, quasi fosse finalizzato a saziare noi stessi, a darci soddisfazione. Vediamo, nella seconda parte del brano, che questo popolo santo diventa profeta, annunciatore delle meraviglie che ha visto e vissuto. Dice Giosuè: «Darete questa spiegazione ai vostri figli... perché tutti sappiano». Insomma Israele diventa perfino maestro, colui che fa conoscere, che spiega e svela le bellezze di una vita percorsa con Dio, attraversata, anno dopo anno, camminando accanto al Signore.
 

Oratio

 

Lodo e benedico

□ Grazie, Signore, perché il tuo amore non si è stancato di camminare con noi e condurci fino al limite del deserto, al di là delle sabbie, dei vuoti, delle grandi, immense solitudini. Tu sei stato sempre con noi! E ora, giunti presso le acque del fiume, fermi sulla riva, ancora ti vediamo, ancora possiamo gioire di te. Da soli non ce l'avremmo mai fatta. Mille volte ci saremmo dispersi, di qua e di là; ci saremmo fermati; saremmo tornati indietro, caduti ancora più in basso da dove la tua mano ci aveva rialzati.

 

□ Grazie, perché siamo qui con te, accolti nelle tue acque, in questo Giordano, che è il fiume della nostra discesa e umiliazione, ma anche il fiume della nostra risalita verso la gioia, verso la conquista del nostro sogno. Tu ci stai battezzando di nuovo, o Signore e così ci fai nuovi, tuoi veri figli generati dal tuo amore. Non è chiusa la tua storia con noi, tu non ci hai cancellati; anzi, vuoi ancora parlarci e farci sognare la felicità di una vita con te, al di là del deserto, oltre le acque del fiume e ancora oltre le mura. Non c'è nulla capace di fermare la tua potenza d'amore per noi.

 

Confesso

- Non ci credevo, Signore, di arrivare fin qui; non avevo fiducia in te, l'Onnipotente e tanto meno in me, perdente fin dall'inizio. Quando hai cominciato a parlarmi e a dirmi che invece, sì, era possibile venir fuori, ricominciare, diventare un altro, io non ti volevo ascoltare e continuavo a ricadere, preso nelle catene e nei ceppi delle mie pesantezze, dei miei peccati sempre uguali, sempre con la stessa vergogna dentro di me. Ci ho messo del tempo per accettare di venire con te, mio Signore, ma ora, sono davvero felice!

- Avevo voluto tenere solo per me il mio sogno, il mio grande desiderio, il mio progetto di vita. Non riuscivo a cedertelo, Signore, a parlarne con te, a confrontarmi. Volevo ogni cosa a mio modo e non lasciavo spazio a niente altro. Quanto mi sono ribellato, quanto ho contestato! Non ti volevo, Signore, ma ora che tu sei con me, parte del mio sogno, davvero sono felice!

 

Mi impegno

Ho imparato una cosa grande nella meditazione di questo brano, un movimento forse nuovo per me, per la mia vita: non c'è solo il partire, il camminare, il marciare, ma anche l'attraversare. E ho visto che è un'esperienza molto intensa, che va in profondità, che spinge sempre oltre. Un'esperienza di grazia. Da soli noi non possiamo farcela, ma con Dio sì. È Lui che ci accompagna, prendendoci per mano anche quando non ce ne accorgiamo. E così, stretti a Lui, possiamo, tappa dopo tappa, conquista dopo conquista, arrivare fino in fondo, attraversare, appunto, fino alla parte opposta, che prima sembrava così lontana e irraggiungibile e invece è diventata realtà.

Davanti ai miei impegni, ai sogni che mi porto nel cuore magari da tanto tempo, ai progetti piccoli o grandi della mia vita, io voglio ancora rispondere con questo entusiasmo, con questa forza interiore. Voglio sempre ricominciare, sempre ripartire, finché l'attraversamento non sia compiuto fino in fondo. Basta con i percorsi fatti a metà, interrotti poco dopo la partenza, insabbiati; basta con i continui ritorni indietro, sempre più indietro. Adesso lo so che dopo il deserto c'è l'acqua nuova, il fiume della grazia che ancora si aprirà davanti a me e allora voglio fidarmi di Dio, che mi conduce sulla sua strada.

Un'altra cosa ho imparato: che non possiamo essere soli.

I sogni più belli si realizzano insieme, perché Dio è comunione. Dio è amore!
 

CONTEMPLATIO

 

La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia (Ct 8,3).

 

Signore, tu hai superato ogni mia attesa! (dal Salmo 121)

 

Quale gioia quando mi dissero:

«Andremo alla casa del Signore!».

Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!

 

Signore, tu hai superato ogni mia attesa!

 

Gerusalemme è costruita come città unita e compatta.

è là che salgono le tribù, le tribù del Signore,

secondo la legge di Israele,

per lodare il nome del Signore.

Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide.

 

Signore, tu hai superato ogni mia attesa!

 

Chiedete pace per Gerusalemme:

vivano sicuri quelli che ti amano,

sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi-

Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su di te sia pace!».

Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene.

 

 

 

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